Un consuntivo della vendemmia 2014. La quantità di uva prodotta si avvicina anche quest’anno ai 300 mila quintali
Mantenendo fede a una tradizione ormai pluriennale, il Consorzio vini trentini ha predisposto un resoconto della vendemmia 2014 raccogliendo i dati dalle 120 cantine associate che rappresentano la quasi totalità del comparto provinciale. Le uve raccolte hanno raggiunto 1.125.707 quintali. Rispetto al 2013 si registra un calo medio del 25%, più marcato per le uve nere (-31%), più contenuto (-23%) per quelle bianche.
Si conferma in aumento la prevalenza delle uve bianche (787.168 quintali) sulle nere (238.539 quintali) con un rapporto percentuale di 76,7 punti su 23,3.
L’influenza negativa delle piogge da luglio a settembre è dimostrata da 95 giorni piovosi con 1.141 mm. di pioggia caduta rispetto alla media storica di 63 giorni e 634 mm..
La classifica ponderale per varietà vede ai primi tre posti per le uve bianche: Pinot grigio (q.li 332.044/32,37%), Chardonnay (q.li 292.415/25,51%),e Muller thurgau (q.li 94.56/9,26%).
Nell’elenco delle uve nere i numeri sono meno differenziati, ma consentono di posizionare ai primi tre posti i vitigni Teroldego (q.li 66.066/6,44%), Merlot (q.li 61.376/5.98%) e Schiava (q.li 24.272/2,37%).
Abbandoniamo il panorama generale per concentrare attenzione sullo Chardonnay.
Originario della Borgogna, era già presente nella collezione varietale dell’ Istituto agrario di S. Michele come risulta da note scritte di Edmondo Mach, fondatore dell’ Istituto agrario (1874). A piantarlosulle acosta orientale del lago di Caldonazzo a cavallo del ‘900, fu Giulio Ferrrari, padre della spumantistica trentina, ma soprattutto preveggente vivaista viticolo. Per alcuni decenni lo chardonnay è rimasto confuso con il Pinot bianco e solo nel 1955 Rebo Rigotti segnalò che in un vigneto di Pinot bianco dell’azienda viticola di S. Michele alcuni ceppi producevano uva con parametri analitici diversi dal Pinot bianco. Nel 1967 Fischer e Manzoni, docenti di viticoltura ed enologia alla scuola di S. Michele confermarono la sostanziale differenza tra Pinot bianco Chardonnay a netto vantaggio del secondo. A partire dal 1978, anno di riconoscimento dello Chardonnay vitigno distinto dal Pinot bianco e della sua iscrizione nel registro nazionale delle varietà autorizzate, il vitigno ha avuto una crescente diffusione in tutte le zone viticole del Trentino e a varie quote, senza tenere conto talora dell’esposizione e della giacitura dei terreni.
L’evoluzione quantitativa dello Chardonnay in Trentino si evince dai numeri del rapporto del Consorzio vini trentini: 236.460 q.li nel 1995; 329.386 nel 2000; 293.724 nel 2005, 361.162 nel 2010; 292.415 nel 2014. Il sorpasso del Pinot grigio è solo di quest’ano.
Nel libro “Lo Chardonnay, storia e vocazione” (di un nobile vitigno nel Trentino e nel mondo) edito dalla cantina Lavis-Valle di Cembra) si trova una vasta e dettagliata documentazione prodotta da esperti dell’ Istituto agrario di S. Michele e della stessa cantina promotrice di un omologo convegno, che porta a due conclusioni: lo Chardonnay ha trovato in Trentino un mosaico di siti diversi che consente al vitigno di esprimere il suo potenziale genetico secondo una scala di valori non omogenea; la migliore uva Chardonnay base spumante si produce, anche se non elusivamente, a quote medio-alte.
Tenendo conto che da un chilogrammo di uva Chardonnay si produce una bottiglia di spumante classico da 7/10 e che in Trentino si producono attualmente 7,5 milioni di bottiglie che si fregiano del marchio Trentodoc, viene da chiedere perché non si utilizza l’uva in esubero, esclusa la quota destinata a vino fermo, per aumentare di molto il numero di bottiglie di Trentodoc? Risposta probabile: ad aumentare si fa presto, ma poi riusciremo a vendere le bottiglie prodotte oltre la soglia consolidata che qualcuno sostiene essere addirittura in calo?
C’è una alternativa: utilizzare lo Chardonnay prodotto a quote medio-basse per produrre uno spumante metodo charmat simil prosecco. Obiezione: una parte dell’uva Chardonnay viene già utilizzata con questo metodo da almeno una cantina trentina. Proviamo a rilanciare: si potrebbe adottare il metodo charmat lungo di Nereo Cavazzani per produrre uno spumante diverso dal classico, ma di alta qualità, da vendere a un prezzo inferiore a quello del Trentodoc con un marchio collettivo che richiama il Trentino e la montagna.
Lascia una recensione