Conoscere la realtà della donna musulmana

La convivenza tra culture frutto di provenienze geografiche e territoriali diverse che segnerà sempre di più il futuro del Trentino obbliga ad attrezzarsi di strumenti mentali adeguati per una conoscenza delle nuove situazioni che si vanno profilando. Basta porre attenzione a come sono composte le classi elementari, medie e superiori nella nostra provincia per convincersi che il nostro mondo è ormai sideralmente lontano da quello che si era configurato solo qualche decennio fa. E allora risulta particolarmente arricchente la lettura di un libro come Avvicinandosi alla donna musulmana (Ed. Istituto “M. Curie”- Centro EDA, 2013, pp. 69), scritto a quattro mani da Barbara Pancosta, docente di spagnolo e arabo nelle scuole superiori particolarmente sensibile all’inserimento delle donne nella vita pubblica, e Naima Sahir, da diverso tempo ormai radicatasi con la propria famiglia in Trentino.

Il testo, agile ma ricco di spunti, mette in rilievo alcune chiarificazione che non sono per niente scontate (anzi, quanta ignoranza a proposito si ravvisa in giro!) come la distinzione tra arabo – che è chi abita in un paese di lingua araba come Egitto, Tunisia, Marocco, Siria, Iraq ecc. – e musulmano. Gli arabi sono circa 230 milioni, i musulmani un miliardo (basta pensare a quell’immensità di popoli e di culture che è l’Indonesia). Ma poi il libro s’inoltra sul sentiero suggerito nel titolo: si intersecano il ruolo della donna prima e dopo l’arrivo dell’Islam, il binomio ambivalente tra islam e sottomissione delle donne, la questione del velo con le sue diverse configurazioni (chador, burka) visto come tentativo di protezione e rispetto oppure come negazione tout court dell’identità e del genio femminile. In realtà l’islam – inteso come religione e pure come Weltanschaung, cioè visione di vita complessiva – è molto variegato e plurale. Si va dalle posizioni più aperte e liberali a quelle più oltranziste e radicali tipo quella di chi dice che se una ragazza non porta il velo non è una buona musulmana o di chi considera le mutilazioni genitali femminili come “islamicamente corrette”.

Perché poi tutto si gioca sui diritti e le libertà delle persone (donne e uomini); sulla dignità delle donne; su un corretto e laico rapporto tra religione e politica. Ad esempio, il matrimonio forzato è presente anche in Italia ed è un dramma per tante ragazze straniere nate e cresciute qui, strette nel difficilissimo dilemma se far prevalere i propri diritti soggettivi e ribellarsi alle direttive dei genitori e parenti adusi a certe tradizioni che negano la libertà, quando possono contare solo sulla propria famiglia, o sottostare alle direttive altrui, della religione, della tradizione. E certamente non si può essere d’accordo con nessun dettato giuridico che considera il maschio guardiano, custode in senso soffocante e oppressivo della donna da sottoporre al suo esclusivo arbitrio.

Nell’Iraq, aiutato dagli occidentali nei frangenti di queste settimane per la minaccia integralista dell’Isis, si sta varando un codice personale del cittadino che prevede, tra il resto, l’abbassarsi dell’età minima matrimoniale femminile dai 18 ai 9 anni (sic!), e questo non va certamente nella direzione del rispetto e della dignità delle donne.

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