Padre Remo, la missione dalla parte delle vittime

Ad Agrone, suo paese natale, c’è un Circolo culturale che porta il suo nome

C’è una scia di parentele e di affetti che lega padre Remo Armani – trucidato 50 anni fa in Congo – e il pronipote don Daniele Armani, giovane prete che oggi opera in otto parrocchie della Val di Non. Una scia anche di ideali e una complessiva visione del mondo improntata al Vangelo della fratellanza e della pace.

Padre Remo era un missionario comboniano ed è stato assassinato a Paulis, in Congo, il 24 novembre 1964. Aveva 47 anni. Se avesse voluto avrebbe potuto salvarsi tornando in patria o spostandosi in una missione più sicura e protetta. Invece no, preferì assumersi il rischio pur di rimanere con la sua gente con la quale stava portando avanti una testimonianza di promozione umana e di evangelizzazione che non dava nulla come imposto e invece tutto nella condivisione di un vissuto quotidiano che i missionari sanno interpretare con naturalezza e semplicità di vita.

Una vita avventurosa, quella di padre Remo. Imbarcato a Venezia per Alessandria d’Egitto, giunge a Karthum in Sudan e dopo settimane in barca sul Nilo – allora un viaggio interminabile – fino alle missioni di Mupoi, Yubu e Tombora dove rimane nove anni buscandosi, tra l’altro, il vaiolo. Quando scoppia il conflitto tra i neri del sud, oppressi e umiliati, contro i bianchi del nord, oppressori e protervi, padre Remo riesce a salvare un meccanico arabo e gli viene data una benemerenza da parte del premier sudanese.

E’ sempre stato dalla parte delle vittime, padre Remo, anche se in qualche frangente non era facile districarsi nel fitto ginepraio della guerra, tra torti subiti e violenze perpetrate. Una guerra che ciclicamente ha connotato anche gli anni più recenti in Sudan, pure dopo la creazione del Sud Sudan come entità statuale formalmente libera e indipendente, sempre minacciosa e letale con i più deboli, i più indifesi, ancora in questi giorni.

Nel febbraio 1964 parte alla volta del Congo (allora Zaire), nel cuore di un’altra rivoluzione. Quel Congo che aveva vissuto con tante speranze il passaggio dal colonialismo all’indipendenza e che aveva visto in Patrice Lumumba un personaggio carismatico capace finalmente di dare contenuti e sostanza a un’indipendenza che avrebbe rivelato i caratteri fin troppo formali, falsi, di facciata di un progresso di cui tutti avrebbero beneficiato tranne la popolazione congolese.

Una serie di circostanze sfavorevoli in un clima di reciproci sospetti e di rivalità insistite e assurde porta padre Remo ad essere coinvolto nell’ordine di massacrare tutti i bianchi, senza distinzione. Il suo corpo non verrà più ritrovato.

La sua ultima missiva, fin troppo carica di preoccupazioni – non tanto per sé, ma per come volgevano gli eventi delittuosi e luttuosi per la povera gente dei “suoi” villaggi – non arriverà mai ad Agrone, il suo paese presso Pieve di Bono nelle Giudicarie (è stata invece ritrovata un paio d’anni fa negli archivi dei comboniani).

Ad Agrone c’è un Circolo culturale che porta il suo nome.

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