La legge di stabilità, come adesso si chiama la “finanziaria” per l’anno prossimo, sta prendendo forma e il consiglio dei ministri di mercoledì la varerà (noi scriviamo ovviamente senza averne visto il testo). L’annuncio vuol sottolineare la volontà di affrontare con un certo coraggio il problema della recessione che ormai si sta trasformando in una crisi molto pesante. Sulla reale portata delle misure che si prospettano, come sempre i giudizi divergono.
Alcuni sembrano francamente dei pre-giudizi come quelli che continua a prospettare la CGIL, la quale accusa il governo di appiattirsi sui rimedi suggeriti da Confindustria, ma non dice cosa si potrebbe realisticamente fare di diverso. La questione infatti è il rilancio dell’occupazione e di conseguenza della capacità di spesa delle famiglie a sostegno di una domanda interna che continua a languire. Il governo punta ad offrire agevolazioni all’industria con sgravi fiscali vari , sull’IRAP e sulla sospensione dei contributi sociali per tre anni ai nuovi assunti. Ci aggiunge qualche impegno per investimenti in lavori pubblici, groviglio giuridico di questi sistemi permettendolo.
Non si vede bene cosa altro potrebbe fare. Il mito che agita l’estrema sinistra, quello della famosa “patrimoniale”, non si capisce cosa potrebbe produrre. Infatti un prelievo cospicuo sui “patrimoni” produrrebbe fughe di capitali e disincentiverebbe gli investimenti nel settore industriale, cose che notoriamente non favoriscono molto la ripresa della occupazione. I tecnici fanno poi notare che non si tratta di operazioni che producono molto gettito: i capitali immobiliari ora sono già tassati abbastanza e quelli mobiliari hanno avuto le aliquote di recente aumentate, sicché non c’è da attendersi un gran risultato da questi prelievi forzosi (aggiungiamoci che chi ha capitali veramente cospicui sa benissimo come difendersi da quei prelievi). Infine non si vede bene come lo stato riuscirebbe a reinvestire quanto raccoglierebbe con queste misure, visto che la spesa in opere pubbliche (Genova, ma ahimè anche Trento insegnano) è difficile da portare a buon fine a causa di sistemi invischiati da un concomitante blocco di legislazioni ipergarantiste (che alla fine garantiscono più che altro il lavoro degli avvocati) e di sospetti di corruzione generalizzati.
Il governo sceglie dunque di favorire indubbiamente l’industria abbassando i costi del lavoro attraverso gli sgravi fiscali, ma non ha molte altre leve per ridare un po’ di fiato all’occupazione. L’arma di un tempo che era il ricorso ad ingressi massicci nella pubblica amministrazione (mitico l’uso che fu fatto delle Poste) non solo oggi è impraticabile perché considerato giustamente incremento del deficit pubblico, ma è anche creatore di squilibri laddove applicato: si veda l’assunzione massiccia di personale precario nella scuola a scapito di legioni di giovani che pagano solo un dazio di … data di nascita per non aver potuto profittare degli anni in cui si entrava facilmente.
Il mantenimento del piccolo sgravio fiscale che garantisce i famosi 80 euro al mese in più ad una platea di redditi bassi (ma solo da lavoro dipendente) è un aiuto modesto, ma comunque utile non tanto all’incremento dei consumi quanto al contenimento del loro calo.
Per il resto sarà però da vedere come finirà con gli effetti dei tagli nella spesa pubblica, che, a dispetto di tutto, continuano a colpire nel mucchio, sicché ne soffriranno molto settori dove la spesa crea reddito ed efficienza e molto meno altri dove semplicemente si potrà sprecare un poco di meno. Lasciamo perdere di commentare la presenza del solito ritornello sul recupero dell’evasione fiscale: crediamo che praticamente negli ultimi vent’anni ogni finanziaria l’abbia promesso con risultati sempre modesti rispetto a quanto annunciato.
Il fatto è che il governo con questa manovra si mette davvero in gioco. Se riparte un po’ di occupazione e c’è un segno di ripresa economica, Renzi non ha da temere nulla: Camusso, Landini e Grillo verranno archiviati come ciechi demagoghi pur di diverso orientamento. Se però i risultati non arrivano, e soprattutto non arrivano in tempi rapidi (cosa tutt’altro che facile visti i tempi per trasformare le intenzioni in leggi e queste in atti applicabili), il colpo di coda della crisi rischia di essere tale da destabilizzare a fondo un paese che già traballa.
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