La sinfonia di fra Francesco

Dal conservatorio al convento: Francesco Grassi, 28 anni presto, racconta le note della sua vita, alla viglia della professione solenne

I frati gli hanno chiesto quasi subito di suonare l'organo del convento. Uscito dal Liceo Musicale, poi laureatosi al Conservatorio nel 2007 in flauto traverso, Francesco Grassi ricorre ad un'immagine musicale per mettere i limiti umani nelle mani di Dio: “anche le dissonanze delle mie debolezze e infedeltà fanno parte della stupenda sinfonia che il Signore sta componendo per, con e insieme a me”. Nella prospettiva dell'ordinazione diaconale e sacerdotale (“vorrei riceverla a Trento, la mia diocesi”) sta completando gli studi teologici nel convento francescano San Bernardino a Verona, dove si trova dal 2009 e dove sabato 11 ottobre alle 15.30 in San Zeno dirà la sua professione solenne attorniato da familiari e amici.

Professione “solenne”, cosa significa, fra' Francesco?

Vuol dire semplicemente dire sì per sempre al Signore, mettersi al suo servizio, vivendo il comandamento dell'amore.

Esattamente, dieci anni, qualcosa cambiava nella sua vita.

Ero ancora uno studente liceale, ricordo bene le due date. Il primo maggio un caro confratello mi ha invitato a partecipare a Borgo Valsugana alla professione solenne di una clarissa: sono rimasto affascinato da alcuni aspetti, non ci ho dormito la notte. Mi chiedevo: non è questo che il Signore vuole anche da me? che mi metta in cammino per capire come essere d'aiuto alle persone?

Il secondo fatto di quell'anno importante?

Il 23 ottobre all'oratorio del Duomo ho fatto la festa di compleanno per i miei 18 anni. Con un po' di trepidazione e tanta gioia ho annunciato ai miei amici la scelta di avviare un percorso vocazionale, per interrogarmi sul senso della vita. Allora non avevo in mente di diventare frate, ora ci sono.

Di francescanesimo in famiglia si parlava da tempo.

Da tanto tempo. Frequentavo da piccolo la parrocchia di San Bernardino, gestita dai francescani e i miei genitori lì hanno maturato la decisione di diventare terziari francescani.

Non è casuale la scelta del suo nome, Francesco?

Anche quelli dei miei fratelli. Letizia fa pensare alla “perfetta letizia” di cui tanto Francesco parlava, anche se se era citata già nella Bibbia. Il più piccolo si chiama invece Emanuele, che significa “Dio-con-noi”, un nome scelto da mia sorella e da me.

Niente è scontato, peraltro, nella storia di una vocazione.

Tanti passi sono stati determinanti, dal postulandato, al noviziato, ai cinque anni a Verona come professo temporaneo. Avevo iniziato da giovane a collaborare alla segreteria decanale di pastorale giovanile, ora ho approfondito la mia scelta sulla via di Francesco e mi dedico ai giovani a Mezzolombardo: solo affidandosi a Lui, ho scoperto che si trova la vera gioia.

Che cosa l'affascina della vita francescana?

La fraternità è importante, condividere la vita insieme nonostante le diversità. Sabato nella formula prometterò “con l'aiuto di questa fraternità” sottolineando l'affidamento nelle mani di questi fratelli, con i loro pregi e i loro limiti.

Quali sono oggi i freni per un giovane chiamato a vivere castità, povertà e obbedienza?

Faccio il confronto con i miei compagni di studi, vedo che alcune cose sono venute meno: io prima suonavo in tanti gruppi e cantavo in due cori, oggi non più. Ma questo aiuta a non a mettere se stessi al centro. Non devo prendere io in mano le redini della mia vita, ma fidarmi di Colui che mi svela il senso della vita. Gesù Cristo svela l'uomo a l'uomo, come dice la “Gaudium et Spes”. I voti non sono quindi costrizioni, ma occasioni di libertà.

Dalle elementari a “Maria Bambina”, alla sezione musicale delle “Bresadola”, al liceo musicale “Bonporti” e al Conservatorio, la musica ha segnato la sua vita.

Negli studi musicali ho capito dopo – grazie anche al dialogo con un mio docente – che rischiavo di entrare in quella trappola della competizione che porta vivere le amicizia ad uso e consumo. Ora vivo la musica anche con la chitarra fra i giovani, come un dono di Dio. Ho scritto alcune canzoni, una delle quali è un po' la mia autobiografia – come dicono i confratelli – perché prende le parole del Vangelo di Giovanni, il mio preferito.

In cosa l'hanno aiutata da ragazzo i gruppi parrocchiali?

A scoprire il valore dell'amicizia vera. Vivendo con miei coetanei e approfondendo conb loro alcune tematiche di fede. Ricordo ancora il primo anno, quando leggemmo insieme gli atti degli Apostoli.

Quale argomento ha scelto per la tesi?

L'altro amore della mia vita, Santa Chiara. E' lei che ci aiuta con i suoi scritti a capire chi è veramente Francesco d'Assisi. Conferma poi che nel francescanesimo maschile e femminile vanno di pari passo, altrimenti mancherebbe qualcosa.

Come si “conquistano” i giovani?

Una bella sfida! Vedo a Mezzolombardo che hanno bisogno di essere ascoltati per dare un senso alla vita. Poi può nascere un dialogo. Molti mi chiedono il perchè della mia scelta che ad alcuni appare folle rispetto alla realtà di oggi.

Papa Francesco ha scelto il suo nome?

Un nome che chiama alla responsabilità. Nel Papa vedo soprattutto un fratello nella fede che insegna quello che Gesù Cristo ci ha portato. E lui – anche a me che ho il difetto di usare tante parole – dice che bastano poche parole. Importante è sporcarsi le mani, avere l'odore delle pecore.

Un grazie a chi lo diciamo?

Al mio primo parroco fra Tarcisio, che ci ha lasciato pochi giorni fa e mi ha dato tanto. Ai miei genitori, alla famiglia, ai frati del Nord Italia e della mia Provincia. E poi ai miei amici che mi hanno tempestato di messaggi per l'onomastico chiedendomi anche “sei pronto?”. Vuol dire che mi pensano e mi stanno accanto.

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