Matteo Renzi sa di rischiare, ma sa anche che, per così dire, il pericolo è il suo mestiere.
Renzi è arrivato a dover affrontare il primo tornante veramente significativo: prendere di petto la questione della crisi economica che è, innanzitutto, una crisi dell’occupazione, conseguente, è bene non dimenticarlo, ad una parallela crisi del nostro sistema produttivo.
Assai più che le due questioni che sembravano caratterizzarne l’immagine di riformatore, cioè la riforma del Senato (con quella del titolo V della Costituzione) e la riforma della legge elettorale, i provvedimenti che vanno sotto il nome di Jobs Act (tanto per non farci mancare un po’ di modernismo verbale) sono di quelli che mirano ad incidere veramente sulle nostre difficoltà.
Ci riusciranno? Una risposta netta è impossibile, perché molto dipenderà da circostanze che non è in potere di nessuno controllare: l’andamento della crisi globale, le congiunture internazionali, la tenuta o meno di un sistema socio-economico come il nostro che è ricco di fragilità. Certamente si sta prospettando il ricorso a mezzi estremi come è il pagamento anticipato del Tfr nel salario: una misura che col vecchio sistema pensionistico che garantiva un assegno almeno decente a moltissimi lavoratori poteva anche non suscitare preoccupazioni, ma che con le pensioni da fame che toccheranno alla gran parte degli attuali occupati potrà avere effetti devastanti quando questi si troveranno a dover affrontare la vecchiaia.
Come è stato scritto, vale però la regola che è meglio un uovo oggi che una gallina domani, perché altrimenti si teme che al domani non ci si arrivi e soprattutto che la crisi finisca per travolgere il nostro sistema di equilibri sociali. I segnali di radicalizzazione in quote non insignificanti del paese ci sono già, basta vedere nei sondaggi non solo la tenuta del M5S, ma anche la crescita della nuova Lega di Salvini o di altre formazioni di estrema destra.
Renzi affronta questo passaggio col suo stile alla bersagliera: prendere il toro per le corna, o almeno provare a farlo. Sa di rischiare, ma sa anche che, per così dire, il pericolo è il suo mestiere: se rinunciasse a quel ruolo, diventerebbe facilmente sostituibile. Per questo i suoi avversari debbono a tutti i costi “smontarlo”, cioè farlo apparire come un venditore di fumo che non conclude nulla.
Inutile dire che in una situazione delicatissima come quella attuale impostare la partita in questo modo è da irresponsabili, dall’una e dall’altra parte. Gli avversari del premier, che si beano di una visibilità mediatica che è loro assegnata semplicemente perché lo spettacolo ha bisogno di competitori per mettere in scena gli scontri e non certo perché scommetta sulle loro qualità, hanno meno armi di quelle che pensano di avere in mano. Possono forse alla lunga riuscire nell’impresa di disarcionare l’inquilino di palazzo Chigi, ma apriranno solo la strada a qualcosa di peggio che non risponderà certo alle loro prescrizioni.
Renzi è stato sin qui bravissimo ad intrappolare i suoi avversari nella parte che ha assegnato loro: chi fa il “gufo”, chi il “rosicone”, chi il vecchio signore che non vuol lasciare il posto a nuove generazioni. Deve però considerare che così facendo ha finito anche per intrappolare sé stesso in una parte nella commedia: il giovane guascone, che ogni giorno deve inventarsi un duello da vincere e che deve per di più metterlo costantemente in scena.
E’ una situazione che rischia inevitabilmente di logorarlo, perché magari vincerà ancora per un certo periodo le grandi battaglie, ma al prezzo di lasciarsi sfuggire di mano la gestione dell’amministrazione di routine. Così non lo impensierisce una minoranza che minaccia fiamme sulle barricate dell’art. 18 con scarsissime possibilità di incidere, ma non sa come affrontare il problema di un parlamento che non riesce ad eleggere due giudici della corte costituzionale. Non si pensi che si tratti di questioni di minor conto perché non appassionano l’opinione pubblica. Solo un sistema efficiente nel suo funzionamento complessivo è in grado di “tenere” di fronte ad una crisi come quella attuale e soprattutto di “contenere” le spinte allo sfascio.
Le leggi non servono a gran che se non diventano poi operative nella vita quotidiana, se non trovano gambe che le facciano camminare togliendole da un ruolo di parole sulla carta (o sulla rete, poco importa) alle quali non seguono che raramente dei fatti.
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