Si apre la partita

Con la direzione di lunedì 29 settembre si è aperta nel PD la partita per la definizione del futuro politico di quel partito. L’articolo 18 è palesemente solo un pretesto, anche se è di quelli che possono avere un rilevante richiamo simbolico. In realtà ci si confronta sul tema della natura che il futuro PD dovrà assumere: partito del leader (per così dire all’americana); partito di correnti strutturate (come la vecchia DC); partito retto da un direttorio di personalità “televisive”, che si disputano il terreno mediatico con la garanzia però che nessuno possa escludere gli altri.

Il ritorno alla antica “forma partito” è impossibile, perché non esiste più la “militanza” come era intesa ai vecchi tempi: tanto per dare un’idea della trasformazione, nella cittadella dell’Emilia rossa dove il partito conta formalmente 75.000 iscritti alle urne delle primarie per il candidato a presidente della regione domenica 28 settembre sono andati in 58.000 e una parte non piccola erano non iscritti come si desume dal successo del candidato anti-establishment, il prof. Roberto Balzani, che ha raccolto il 39% dei voti.

Nella prima partita di questo torneo, appunto quella della direzione, la vittoria schiacciante è stata quella del partito del leader, cioè di Renzi. Gli oppositori che puntavano al “direttorio”, la cosiddetta “vecchia guardia”, ha fatto una figura modestissima nel confronto, cadendo nel tranello tesogli dal leader di recitare la parte che questi aveva loro assegnato a suo vantaggio. D’Alema ha fatto la caricatura dei suoi difetti: saputello e sarcastico in modo scostante. Bersani ha lasciato trasparire tutta l’irritazione per essere stato messo da parte dopo una magra figura: ha chiesto quello che in sostanza è il rispetto per gli anziani, ma ha scambiato le critiche politiche, anche pesanti, alla sua gestione per una macchina del fango (il cosiddetto metodo Boffo), il che per un politico sperimentato è un segno di serio appannamento. Non parliamo di Civati, che potrebbe essere l’alternativa della stessa generazione a Renzi, e che invece ripete solo le più stanche banalità sulla distinzione fra destra e sinistra.

I numeri dei voti hanno dato a Renzi una vittoria senza prigionieri, ma vincere una battaglia non significa vincere la guerra. Infatti adesso il confronto si sposta al Senato, dove c’è un diverso spazio d’azione per gli oppositori, perché, secondo i calcoli che si fanno, la maggioranza renziana ha un margine di soli 7 voti (ammesso poi che quella maggioranza, che conta un buon numero di “convertiti”, non sia permeabile alle sirene del ritorno ai vecchi ovili).

A sostegno di Renzi gioca però Berlusconi. Non nel senso sciocco che credono i vari commentatori provenienti dai vecchi ideologismi o i nostalgici della vecchia guardia, cioè che questa sia la prova provata che le riforme sono “di destra” (quando una riforma è necessaria, ovviamente cessa di essere di parte, checche se ne dica). Il problema è un altro. Se il governo dovesse fare passare il jobs act grazie a voti determinanti di FI si troverebbe nelle condizioni di dover provocare una crisi per il venir meno della maggioranza che gli ha dato la fiducia. Si aprirebbe così una partita perversa: o la formazione di un nuovo governo con conseguente dibattito sulla fiducia o il ricorso ad elezioni anticipate per verificare lo stato reale dei consensi.

Berlusconi, che è un politico attrezzato, lo sa benissimo ed è su questo che punta, avendo tutto da guadagnare dal “ribaltone”. Si aggiunga che c’è il caso che questa crisi si sposi col problema del passaggio del ministro Mogherini a Bruxelles, il che impone una sostituzione se non un vero e proprio rimpasto, visto che non mancano caselle deboli nell’attuale compagine governativa.

Si può ben capire che una crisi nelle attuali condizioni avrebbe un effetto devastante. Magari salverà, come vogliono i sindacalisti ciechi, i diritti acquisiti di un po’ di occupati, ma distruggerà ogni speranza che l’economia possa ripartire, cioè che l’Italia torni ad essere vista come una opportunità positiva per fare impresa e sviluppo.

I più intelligenti nell’opposizione a Renzi, come Cuperlo, o un po’ di appartenenti alle giovani generazioni staccatisi dalla vecchia guardia, l’hanno capito e cercano di salvare capra e cavoli, ma non sarà facile con l’ostinazione che pervade i capi spodestati e con i media che soffiano sul fuoco del confronto giusto per aumentare una audience in declino.

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