“L’eco-pedagogia per un altro mondo possibile”

Non basta includere nel consumo, liberare dalla povertà: è necessario anche emancipare, rendere protagonisti

Era già venuto qualche volta in Italia, Moacir Gadotti, ma mai in Trentino. Ha potuto farlo domenica 21 settembre, visitando Bosco, piccola frazione di Civezzano, da dove erano partiti i suoi bisnonni nel 1875. Erano partiti “sapendo che non sarebbero più tornati”. Moacir Gadotti, in Brasile, è il presidente onorario dell’Istituto Paulo Freire e per diversi anni è stato a fianco del grande autore, tra l’altro, della “Pedagogia degli oppressi”, un testo fondamentale negli anni ’70 in Sudamerica e in tutto il mondo per capire e decifrare i meccanismi di cooptazione del potere nei confronti delle classi subalterne sfruttate e immiserite.

Gadotti, ancor giovane, era stato attratto dalla forte personalità di Paulo Freire dopo che nel 1967 aveva letto la sua opera “L’educazione come pratica della libertà”. Lo seguì a Ginevra dove Freire era stato costretto all’esilio – protrattosi per ben 21 anni – dopo il golpe dei militari in Brasile, creando un sodalizio che sarebbe stato interrotto solo dalla morte del pedagogista il 2 maggio 1997.

E Moacir Gadotti, incontrando esponenti della comunità sudamericana in Trentino ed educatori lunedì 22 settembre mattina presso il Centro per la formazione alla solidarietà internazionale, ha voluto ripercorrere non solo le tappe della sua fraterna amicizia con Freire, ma riproporre anche i punti cardine della sua proposta politica ed educativa. Erano anni in cui si stava manifestando un forte conflitto tra due progetti di società: una che stava nascendo dal basso perché Freire lavorava molto con i contadini poveri con un sistema di educazione popolare ramificato e collaborativo; e l’altra – che ebbe il sopravvento col colpo di stato – che riproponeva i canoni asfittici della dominazione dei più forti e dei più ricchi servendosi del braccio delle Forze armate (sempre i “golpe” servono a ribadire i rapporti di forza dei potenti nei confronti delle classi subalterne: in Cile, in Argentina, in Paraguay, ovunque in Sudamerica in quegli anni).

La relazione oppressi-oppressori è il fulcro di tutta l’opera educativa di Freire. Che sosteneva – questa l’idea portante della sua “Pedagogia” – che l’educazione o è liberatrice o non è niente, se non il puntello culturale di chi comanda e domina. Il povero e l’oppresso vedono nel ricco e oppressore una persona che ha successo, che si gode la vita, che comanda, e tendono a imitarne acriticamente gli stili e le tendenze. Ad assimilarne la cultura come la sola cultura possibile e proponibile. Ecco perché Paulo Freire girava il Brasile, animava le comunità, cercava di ribaltare quelli che erano gli imperativi dominanti “respirati”, neppure condivisi. Il successo personale, le apparenze, l’individualismo, il dominio sulle persone e il loro sfruttamento.

Per questo oggi Moacir Gadotti osserva che non basta includere nel consumo, liberare dalla povertà: è necessario anche emancipare, liberare, rendere protagonisti del proprio destino individuale e collettivo. Proporre altri valori, la vicinanza, l’attenzione, l’amicizia. Gadotti, sulla scia di Freire, propone le prospettive dell’eco-pedagogia, l’educare alla cura per il pianeta (e proprio in questi giorni c’è la Conferenza Onu sul clima, questione attualissima!). Per evitare che questo modello di produzione diventi – a breve – un modello di distruzione.

Non è catastrofista, Gadotti, come non lo era Freire che titolava non a caso la sua ultima opera (non tradotta in italiano) “La pedagogia dell’indignazione”. Non è sufficiente “uno sviluppo sostenibile limitato al consumo sostenibile”; serve invece approfondire il concetto di “buen vivir” che significa “una relazione equilibrata e dinamica con se stessi, gli altri e la natura”. Non è bastante, come fa Al Gore negli Stati Uniti, riformare il capitalismo – ha osservato Gadotti – e non approfondire il tema dell’educazione, perché è questa – una sua distorta lettura – che ripropone i modelli che producono la guerra, la miseria, l’analfabetismo (6 milioni di analfabeti nella ricca ed evoluta Italia, secondo la recente secca denuncia di don Luigi Ciotti!).

Moacir Gadotti da parte sua – avendo alle spalle ben 53 anni di professione come maestro ed educatore – continua a incontrare i contadini analfabeti e poveri del suo Brasile. “Per riscoprire la loro cultura – afferma – e valorizzarla come moto del cambiamento”.

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