La capacità di vivere il rapporto con un corpo che, pur menomato, sa dare e ricevere amore, è al centro del film di Josh Boone, giovane regista virginiano qui al suo secondo lungometraggio. È la voce fuori campo della giovane protagonista Hazel a narrare l'incontro con Gus fino alla sua morte. Tra inizio e fine è racchiuso l'infinito di un sentimento che “dà senso ai giorni contati" non scomparendo nell'oblio, e dà la forza di chiamare la malattia con il suo nome senza vergognarsi di avere una bombola di ossigeno sempre al seguito o una gamba finta. Non c'è lieto fine, ma Boone affronta il rapporto tra amore e malattia in età adolescenziale in modo veritiero, senza scadere nel pietismo.
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