Simbolo di forza primigenia e di fertilità, gestazione e creazione, silente spirito dei boschi, dolce e selvaggio, mansueto e feroce
In questo periodo in cui la figura dell’orso gode di una sovraesposizione mediatica del tutto straordinaria, qualche lettura non confinata alla dimensione naturalistica e zoologica di questo animale può risultare utile a comprendere i numerosi significati reconditi che la figura del plantigrado ha rivestito e riveste all’interno della storia delle culture.
Il saggio di Michel Pastoureau dal titolo L’orso. Storia di un re decaduto (pubblicato in Italia da Einaudi) è sicuramente uno di questi.
Lo storico e antropologo francese, grande studioso delle simbologie medievali, attraverso una narrazione avvincente ed estremamente documentata, analizza da molteplici punti di vista la presenza ed i significati che la figura dell’orso ha rivestito nel corso della storia dell’umanità.
Fino al crepuscolo del I millennio dell’era cristiana, in quasi tutte le aree del mondo conosciuto, l’orso e la simbologia che da esso traeva origine (nella pittura, nell’araldica, nei sigilli, oltre che nell’immaginario popolare…) lo identificava come il re degli animali. Divinità “ctonia”, personificazione delle forze della natura e delle energie della terra, potere divino che si manifesta nella forma terrena di animale, simbolo di forza primigenia e di fertilità, gestazione e creazione, silente spirito dei boschi, dolce e selvaggio, mansueto e feroce. Dalle varie culture (soprattutto quelle nordiche e germaniche) era ammirato, venerato, considerato come un progenitore o un antenato dell’uomo. Molti culti che affondavano le radici nella preistoria dedicati all’orso hanno lasciato tracce nell’immaginario e nelle mitologie fin nel cuore del Medioevo cristiano.
Nei secoli della cristianizzazione dell’Europa longobarda e carolingia, la Chiesa impostò un programma di sradicamento e cancellazione dei culti e dei simboli legati all’orso. Dottrinariamente e politicamente inconciliabili con il cristianesimo la forza brutale, il fascino esercitato su re e cacciatori, i miti fondativi di dinastie o antenati totemici che l’animale incarnava. Da questa epoca l’inizio di una parabola discendente che vide l’orso sostituito nella sua dimensione di potere dalla figura, importata ed esotica, del leone e (in parte) da quella dell’aquila.
Le leggende di molti santi (pensiamo a Romedio e Corbiniano) e la relativa iconografia si arricchirono di storie di orsi feroci ammansiti e costretti al guinzaglio, al pari di animali da compagnia, o con catene e museruola.
L’apice della sconfitta fu raggiunto quando – col passare dei secoli – dal diabolico si passò al ridicolo e le immagini, la letteratura e la pratica comune finirono per identificare l’orso come il goffo bersaglio di bastonate, fino a diventare animale ammaestrato per i circhi e attrazione da baraccone.
Una parabola che scende fino ai nostri giorni, con l’orso protagonista innocuo di cartoni animati, impegnato a rubare cibo dai cestini dei turisti e miele dagli alveari. Un re decaduto? Forse non completamente… Un orso di peluche non è forse il più tenero confidente ed il miglior dispensatore di coraggio di ogni bambino?
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