L’anniversario dei cento anni dallo scoppio della Grande Guerra contiene in sé molti moniti.
Il primo è un’esortazione diretta e lineare, senza alcun tipo di possibile dubbio: “La guerra è Male e fare la guerra per preservare la Pace, per esportare la Pace, non è mai un buono strumento per farsi capire”. La guerra è Male per l’Uomo, per i suoi affetti, per i suoi sogni, per i suoi figli, per il suo lavoro. La guerra è Male per il territorio, per l’ambiente, per le relazioni internazionali, per il buon vivere di una comunità. La guerra è un’incredibile voragine di sperperi, di risorse bruciate sull’altare del preteso orgoglio nazionale, è un conto aperto che non si chiude più, è un assegno in bianco consegnato al destino. La guerra non ha mai risolto le cause dei conflitti: forse talvolta le ha rimosse, le ha posticipate, le ha solo momentaneamente messe da parte, ma sempre a caro prezzo e facendoci rinunciare a gigantesche dosi di umanità.
Il secondo monito riguarda più da vicino il Trentino-Alto Adige, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, che oggi conservano alle alte quote delle montagne oppure disperse sui vasti altipiani o nell’immensità della pianura i ruderi delle testimonianze di quel che avvenne un secolo fa: forti, trincee, camminamenti, postazioni, osservatori, fuciliere, cimiteri, ospedali, strade militari… Gli sforzi che le nostre comunità hanno fatto e stanno facendo per recuperare alla memoria queste vestigia, questi segni concreti, questi sentieri di dolore, daranno di sicuro i loro frutti: oggi questi frutti li consegniamo ai pronipoti dei caduti di allora, siano stati essi italiani, sudtirolesi o austriaci, alleati o nemici, li trasmettiamo ai nostri giovani di oggi perché sappiano leggervi l’immane catastrofe di una pazzia che percorse e sconvolse – per cinque lunghissimi anni – i cinque continenti del pianeta.
Nemici ieri, amici e fratelli oggi: questo il senso di un centenario che vuole andare al di là delle parole per scrutare nei segni concreti sul territorio del nostro Nordest quei simboli di cui abbiamo bisogno: Rovereto con la sua campana della Pace, le trincee nel ghiaccio della Guerra Bianca che sull’Adamello vennero visitate anche da San Giovanni Paolo II, l’immensità silenziosa del cimitero monumentale di Redipuglia in cui riposa il cuore di una generazione mandata al massacro, la battaglia di Vittorio Veneto e il fiume Piave che oggi scorre pacifico ripensando agli eroismi di tanti ragazzi in divisa…
Queste immagini dobbiamo tenerle lontane dalla retorica per trasformarle così in voglia di pace. Quella “pace” che significa avere a cuore i destini degli altri, di tutti quelli che ci circondano, di quelli che sono d’accordo con noi ma anche di quelli che non lo sono. Pace nel senso “darsi”, è mettersi al servizio e riuscire a coinvolgere in quel servizio tutte le persone che attraversano la nostra vita e incrociano i nostri destini. Pace che è essere comunità, è riconoscersi in una comunità, è amare la propria comunità, è studiare, lavorare e costruire per essa. Pensando a quanto i nostri bisnonni, i nostri nonni e i nostri padri hanno patito, tocca a noi far tesoro delle loro esperienze e dei loro limiti per provare a consegnare ai nostri figli almeno un Nordest in piena pace, coeso, inclusivo, generoso e laborioso, onesto e trasparente.
Solo così una celebrazione fatta di parole, di eventi, di discorsi e di belle enunciazioni avrà veramente un significato: reale, concreto, positivo.
Ugo Rossi
Presidente della Provincia Autonoma di Trento
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