La Provincia di Trento festeggia in questo fine settimana la Giornata dell'Autonomia (venerdì 5), garantendo le porte aperte del Palazzo di Piazza Dante ai cittadini, il giorno successivo. I suoi organi istituzionali per l'occasione intendono accostare, nelle rievocazioni, figure del passato come Alcide Degasperi e Karl Gruber, con altri propugnatori della politica autonomistica, nel contesto nazionale ed europeo come Romano Prodi, beneficiario di un premio assegnato ai “Costruttori d'Europa”. La parola “autonomia”, scriveva il compianto mons. Iginio Rogger, storico della Chiesa, è un termine genericissimo, che si può realizzare in mille modi, ma che in Trentino lo si può decifrare solo in connessione con la sua storia, ossia in rapporto al Land Tirolo, nel quale si trovò incorporato dal 1803 con la cosiddetta secolarizzazione del Principato vescovile di Trento e dal 1816 con la reimpostazione della monarchia austriaca. Il Trentino si trovò da allora fino al 1918 a convivere nella struttura istituzionale del Land, mantenendo però profonde differenze, quelle stesse diversità che distinguono i gruppi etnici e contrappongono modelli economici e criteri amministrativi ereditati da una lunga storia.
Il 5 settembre – ci scrive in una lunga lettera Nicola Fioretti, presidente dell'Osservatorio di Studi autonomistici regionali ed europei (Osar) – è una data che segna un passaggio epocale per la nostra terra. Quel giorno del 1946 viene infatti firmato (a margine dei lavori della Conferenza di Pace di Parigi) il cosiddetto “Accordo Degasperi-Gruber” che getta le basi per la nostra autonomia. L'accordo, secondo Fioretti, di fatto rovescia il concetto fascista di “assimilazione forzata” dei nuovi territori, divenuti italiani dopo la prima guerra mondiale e afferma il criterio del riconoscimento e del rispetto delle reciproche differenze garantendo le basi per una lunga e duratura convivenza pacifica. Con questo accordo frutto dell’“indiscutibile lungimiranza di Degasperi” e della “grande conoscenza di questa terra e dei popoli che la vivono” è stato evitato un destino spesso tragico, sperimentato tutt'oggi in altre parti del mondo. A chiamare in causa l'Accordo del 1946 è il quotidiano Avvenire del 3 settembre, in relazione alla crisi russo-ucraina che manifesta, attualmente, posizioni del tutto inconciliabili, dal momento che dopo l'annessione della Crimea, le mire espansionistiche della Russia di Putin sono rivolte alla parte orientale dell'Ucraina, abitata da una maggioranza russofona. Sul versante occidentale, Ue e Usa, faticano a trovare azioni sufficienti per contenere e fermare la spinta aggressiva di Mosca. E all'Ucraina ha fatto esplicito riferimento Papa Francesco lanciando, al rientro dalla Corea del Sud, il suo accorato grido d'allarme sulla “terza guerra mondiale a capitoli”. L'Avvenire nell’editoriale di Sergio Soave dal titolo “Ci vorrebbe un Degasperi” esamina in profondità i nodi della crisi, avvertendone per intero la pericolosità, chiedendosi quali possano essere le iniziative idonee a costruire le condizioni della pace in un’area tanto controversa. La conclusione è che solo una soluzione negoziata può sostituire il fragore delle armi, il che significa un compromesso fra le parti, che non potrà, ovviamente accontentare tutte le richieste, specie quelle più oltranziste. “Chi vuole costruire la pace – sostiene Soave – corre sempre il rischio di essere considerato subalterno al nemico”, rievocando le polemiche contro Degasperi al momento della sigla dell’accordo con Gruber che implicava la tutela della minoranza di lingua tedesca del Sudtirolo.
Ma l’autonomia del Trentino Alto Adige è esportabile? Giriamo la domanda a Giorgio Postal, già parlamentare della Dc alla fine degli anni cruciali del “los von Trient” da parte della SVP, autore con Mauro Marcantoni di alcune recenti pubblicazioni storiche sul difficile cammino della riconciliazione dal 1946 al Pacchetto. Per Postal l’ipotesi di una forte autonomia da accordare all’area orientale dell’Ucraina è certamente perseguibile e qualsiasi soluzione politica negoziata non può prescindere dallo specifico contesto geopolitico. “Anzi – spiega – dovrebbe essere questo l’obiettivo sul quale impegnare Ue e Usa al fine di costruire le condizioni di una pacificazione duratura”. Il piano cozza però contro l’idea di un’Ucraina “ultimo bastione” verso la Russia da rafforzare con nuove basi militari, invece di quella di una sorta di area cuscinetto, neutrale, nei confronti dei due blocchi. Un’autonomia regionale, dunque, pilastro della convivenza, ancora tutta da ri-scoprire e da difendere dal “centralismo livellatore” di cui si fa un gran parlare negli ultimi tempi in Italia.
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