La castanicoltura trentina suggella l’unione tra uomo e castagno: una storia che si perde nella notte dei tempi. Nella “Statistica del Trentino” del 1852 curata da Agostino Perini, il castagno venne definito “l’albero da frutto coltivato con più profitto e nella maggiore estensione sul Trentino” e ciò con il doppio vantaggio di “somministrare della frutta molto gradita e un legno durevole prescelto come sostegno alle viti e specialmente nei pergolati”.
Il Perini individuò le zone più vocate in Drena e, più in generale, Arco e le Giudicarie. Oltre un secolo più tardi, negli anni Ottanta, il piano provinciale quinquennale denominato “Progetto Castagno” promosse azioni sia di risanamento sia di recupero dei castagneti da frutto. In particolar modo, il ripristino delle superfici in stato d’abbandono, il rinfoltimento delle chiome, l’innesto di ceppaie e la pulizia del sottobosco per confluire nel “recupero del castagno tra le iniziative finanziate dalla Comunità Europea nell’ambito delle politiche agroalimentari”.
Ultimo in ordine di tempo, il censimento dei castagni promosso un anno e mezzo fa dal comune di Drena e sovvenzionato all’80%, prossimo alla dirittura d’arrivo. Il censimento è sperimentale, il primo attuato in Provincia con la tecnologia satellitare (ai fini naturalistici e non prettamente forestali), corredato di relazione tecnica e cartografia tematica.
Su un lembo calcareo a sud della Valle di Cavedine di toponimo Gaggio, considerato l’habitat ottimale del castagno, nascerà così “Il cammino dei ricci”, un percorso a valenza didattica e divulgativa, dotato di notevole peso specifico. Non per nulla il luogo con la maggiore densità di castagni in regione. Figura come una commistione tra pubblico e privato, stando a quanto evidenziato dalla vicesindaco di Drena, Giovanna Chiarani: “È nostra tradizione, secondo gli usi civici locali, che le piante su questo suolo demaniale di alcuni ettari appartengano ai privati”, spiega. “Aderendo al progetto, ci siamo sentiti in dovere di valorizzare il paesaggio passando dal cosiddetto pane dei poveri – la castagna – che in passato è stato la principale fonte di sostentamento della gente di montagna”.
La marcata affezione dei castanicoltori locali, molti dei quali aderenti a un disciplinare di produzione, e l’impegno degli scolari nell’ideare la mascotte del percorso sono stati ricambiati sia dalla realizzazione di nove pannelli esplicativi che sfoggeranno lungo il cammino (liberamente accessibile al pubblico e con il solo divieto di raccolta dei frutti), sia dal censimento georeferenziato degli alberi più sviluppati, quelli aventi circonferenza minima di almeno 20 centimetri misurata alla base del fusto.
Gli esemplari più longevi raggiungono invece i 420 anni e misurano 5,5 metri di circonferenza. Li reputa, a ragione, dei veri e propri patriarchi vegetali, il naturalista Alessandro Marsilli all’indomani della raccolta dati. “Ci ha incuriosito l’estrema biodiversità all’interno della piantagione: tane di volpe e di tasso, dimore di rapaci diurni e notturni”, commenta il consulente ambientale. “Il castagno è una specie di albero habitat, ossia un piccolo mondo composto di tantissimi organismi viventi”.
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