Con importanti riforme in cantiere, riprende la vita politica. Renzi e i suoi ostentano sicurezza, ma si capisce che sono consapevoli di una situazione difficile
Come tradizione, dopo Ferragosto riprende la vita politica con tutti i problemi che questa estate, strana non solo metereologicamente, si porta appresso. Ovviamente il problema più grosso è quello economico: stagnazione, anzi recessione e difficoltà ad immaginare una ripresa. Ammorbidisce l’amara pillola la scoperta che anche tanti altri in Europa arrancano come noi, ma nessuno di questi ha un debito pubblico al 135% del PIL.
Renzi e i suoi ostentano sicurezza, perché naturalmente il paese ha bisogno di mantenere una certa fiducia in sé stesso, ma si capisce che sono consapevoli di una situazione difficile. L’importante è che non soggiacciano al consueto populismo pressappochista, come quello del ministro Poletti che torna alla solita ricetta del “contributo di solidarietà” sulle pensioni più alte, cioè su molte, perché altrimenti si tratterebbe di un prelievo senza significato. Pessima mossa, in un paese che ha bisogno di rilanciare i consumi (dunque diminuire il potere d’acquisto di chi può spendere è poco utile) e solito pannicello caldo mascherato con la tirata populista sulla difesa degli esodati. Uno si chiede cosa abbiamo fatto di male per meritarci ricette così pasticcione.
Ovviamente l’orizzonte politico non è roseo. Renzi è sotto un duplice assedio, perché da un lato il centrodestra berlusconiano si offre come alleato estremo e dall’altro la vecchia sinistra fuori e dentro il PD continua a vedere inciuci dappertutto. Per il momento punta a tenere la rotta sin qui seguita, accordi con Berlusconi sulle riforme istituzionali, ma niente di più. Deve fare ovviamente, in quanto segretario del PD, i conti con due scadenze elettorali imminenti, le regionali in Calabria e in Emilia Romagna, e con quelle della prossima primavera, che coinvolgeranno molte altre regioni. Non vuol presentarsi agli elettori con una rottura a sinistra, non tanto per paura di SEL e compagni, quanto per non aprire una lotta interna al suo partito.
Questo orizzonte gli fa pagare prezzi non lievi, soprattutto in materia di riforma del mercato del lavoro, dove il premier se la cava dando un colpo al cerchio (non aboliremo l’articolo 18) e un altro alla botte (rivedremo a fondo lo statuto dei lavoratori). È da vedere se questa piccola furberia, che comunque farà fatica ad essere tradotta in una normativa sensata, sarà sufficiente a trovare ascolto in Europa.
Non è neppure l’unica grana che ha sul tappeto. La riforma della giustizia è un altro banco di prova per la nostra credibilità europea, ma qui, nonostante l’abilità del ministro Orlando, non si capisce quanto si stia avanzando. Certamente è stata intelligente la scelta di puntare soprattutto sulla riforma della giustizia civile, tema che meno allarma il sindacalismo togato e che interessa di più alla gente, ma anche qui ci sono tali e tanti passaggi e cavilli che non si sa quanto e in che tempi si riuscirà a trasformare in una nuova normativa.
C’è poi la riforma della Pubblica Amministrazione, il cui disegno complessivo è passato, ma che per diventare operativa ha bisogno di alcuni passaggi regolamentari non semplici. In più c’è da aspettarsi che nella prima fase il cambiamento più che semplificazioni generi confusione. Del resto non sarebbe la prima volta: abbiamo scoperto per esempio che ormai stanno abbandonando l’idea della carta di identità tipo bancomat, dopo avere annunciato questa riforma come una specie di rivoluzione.
Abbiamo lasciato in ultimo il richiamo alla vera mina vagante della riforma elettorale. È qualcosa che spaventa sempre più molti settori della classe politica che si percepiscono in crisi di consensi: per esempio i grillini sono ormai una massa significativa di voti parlamentari sostanzialmente alla deriva e dunque disponibile a fungere da catalizzatore per ogni colpo di mano.
Certo Renzi gode del sostegno del Presidente della Repubblica, che è consapevole che un fallimento di questo tentativo di rinnovamento sarebbe una catastrofe per il paese. Tuttavia non è abbastanza per garantire una uscita indenne dalle trappole autunnali: il premier deve trovare una sintonia di tipo diverso col paese, cioè deve riuscire a saldare l’indubbio favore popolare di cui gode, con il convinto sostegno di un ampio fronte di classi dirigenti del paese, economiche, sociali ed intellettuali (ciò che al momento non ha in misura sufficiente). Un’impresa tutt’altro che facile.
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