Questo conflitto “ci ‘abitua’ tragicamente a uno stile di vita e di relazioni tra paesi e comunità basati sulla violenza e sull’avversione”
Tutte le guerre, appunto perché guerre, sono insensate. Basti pensare alla Prima Guerra Mondiale di cui abbiamo appena ricordato il centenario dell’inizio. Ma questa guerra tra Israele e Hamas della Striscia di Gaza, chiamata, ironia delle espressioni, “Barriera protettiva”, non si vede proprio che minimo di senso possa avere: né nelle sue cause, né nei suoi effetti, né nelle sue intenzioni e neppure nelle sue modalità.
Questa constatazione ci porta ad alcune riflessioni importanti. Le cause, in realtà, ci sono, e come, ma non sono quelle immediate che sono state proclamate e cioè l’uccisione barbara e ingiustificata dei tre giovani ebrei nella zona di Hebron, di cui non si conoscono ancora gli autori, e l’uccisione, altrettanto barbara e ingiustificata, di un ragazzo palestinese di cui si conoscono già i colpevoli.
Le cause vere, anche se non immediate, sono il rifiuto della riconciliazione e dell’unità ritrovate del popolo palestinese nell’aprile scorso, tra Cisgiordania e Gaza, Fatah e Hamas. Unità sacrosanta, assolutamente necessaria e utilissima per tanti versi, soprattutto per la causa della pace, ma che le autorità israeliane, e persino alcune frange palestinesi, non hanno visto positivamente.
Le cause si trovano nell’interruzione dei negoziati di pace tra Palestinesi e Israeliani, all’inizio di maggio, in mezzo a una scandalosa indifferenza internazionale e araba.
Le cause si riscontrano persino in alcune reazioni negative, non manifeste ma esistenti, all’incontro di preghiera avvenuto in Vaticano all’inizio di giugno tra il Papa Francesco, il presidente israeliano Shimon Peres e il presidente palestinese Mahmoud Abbas. Incontro che, pur spirituale o forse appunto perché spirituale, aveva dato un rinnovato impulso a riprendere con più slancio il processo di pace.
In tutte queste motivazioni c’è un denominatore comune che è la vera causa di questa guerra che ha già provocato troppe sofferenze e distruzioni, più di mille morti e più di sei mila feriti (quasi tutti civili) dalla parte palestinese, e alcune decine (quasi tutti soldati) dalla parte israeliana, con interi quartieri rasi al suolo. Fa paura nominare questa causa, sembra incredibile, ma bisogna avere il coraggio di tirare le conclusioni logiche: ci sono dei responsabili e dei gruppi che non vogliono la pace, nonostante bei discorsi di pace e persino le iniziative che sembrano di pace. In realtà torna loro conto questa realtà di “tregua” (la famosa ‘Hodnah’), di non pace e non guerra dichiarata, di poca chiarezza, di situazione torbida dove possono tramare come vogliono e andare avanti con i loro progetti a senso unico, senza essere fermati da soluzioni di pace che metterebbero necessariamente limiti alle loro bramosie nazionalistiche, d’interesse e di occupazione.
Finché non ci sarà la pace o almeno una seria volontà di ricerca di soluzioni, in Terra Santa dobbiamo portare la croce di guerre, guerriglie, operazioni di morte e di distruzione ogni due o tre anni!
Questa è una guerra che non ha senso anche nelle sue sorprendenti modalità. Il movimento Hamas di Gaza, distretto che ho visitato personalmente parecchie volte e di cui ho toccato direttamente l’estrema povertà, ha costruito centinaia di tunnel ‘economici’ (verso l’Egitto), ‘strategici’ (movimenti interni) e ‘aggressivi’ (verso Israele), spendendo somme ingenti. Hamas e i Jihadisti si sono dotati poi di migliaia (come si legge nei giornali) di missili, razzi e droni sofisticati o anche artigianali con diverse capacità di raggio d’azione, da 10 a 100 km, che costano moltissimo.
A sua volta Israele, oltre alle sbalorditive spese della guerra, che si ripercuotono immancabilmente sul contribuente e sui pellegrini (come la tassa ‘pace in Galilea’ imposta a tutti i passeggeri per l’aeroporto), ha avuto l’occasione, come per il passato, di fare “ottimi” esperimenti sulle sue nuove invenzioni antimissilistiche. Usando i tradizionali Patriot e i nuovi Arrows ha costituito una “Iron Dome” (‘cupola di ferro’) che ha dato buone prove durante questa guerra e, nella stampa, si chiedono come esportare questa invenzione! Ben vengano i mezzi che difendono l’uomo e impediscono la morte e la distruzione, ma mai alle spese di un intero popolo e per interessi.
È tempo, come ripete il Papa, di ritornare alla cultura della vita e della pace, all’uso saggio delle risorse per il bene dell’uomo e la crescita della società. Potesse questa guerra essere almeno un’occasione per capire queste verità e ritornare al buon senso e alla ragione.
È una guerra insensata (l’hanno chiamata ‘operazione’!), infine, perché ci “abitua” tragicamente a uno stile di vita e di relazioni tra paesi e comunità basati sulla violenza e sull’avversione. Milioni di persone nascono, vivono e muoiono in un clima di violenza e purtroppo si arriva a pensare che la guerra sia la normalità, e la pace sia un’utopia. Ecco l’origine della disperazione che crea un circolo vizioso pericolosissimo. Senza menzionare le guerre del 1948, 1956, 1967, 1973, 1982 e le due Intifade (1987-91 e 2000-2004), vi ricordate “l’operazione Arcobaleno” (2004), la “Guerra di luglio” (2006), “L’operazione Pioggia estiva” (pure nel 2006), la guerra “Piombo fuso” (2008-09), la guerra “Colonne di nuvole” (2012), fino all’attuale “Margine protettivo”? Drammaticamente la gente pensa: “Tanto già, una guerra in più o in meno, siamo abituati, è il nostro destino”. Siamo sull’orlo della disperazione dalle conseguenze incalcolabili; siamo sul baratro del fatalismo che distrugge lo zelo e l’entusiasmo necessari per la pace.
È proprio contro quella disperazione e quel fatalismo che il Papa ha voluto reagire con il suo famoso incontro spirituale di pace. È proprio quello che sta facendo il Patriarca di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, e tutta la chiesa locale con i suoi messaggi, le sue preghiere e le sue molteplici iniziative di aiuto.
+ Giacinto-Boulos Marcuzzo
Nazareth, 29 luglio 2014
Lascia una recensione