Il pino del paese cembrano, mandato al rogo a Carnevale, è l'esempio più noto di una formula rituale molto diffusa
Appartiene alla tradizione di tutti i popoli, dicono gli antropologi, segnare il passaggio delle stagioni con roghi di alberi, arbusti o fronde. Vita Trentina ci ha portato a fine giugno (vedi n.27) in val dei Mocheni per raccontare i fuochi di San Pietro dall’origine storica ancora imprecisata; ancora più famosi sono i roghi cimbri a Luserna per il “trato marzo” (vedi foto sotto).
E' Carnevale, però, il tempo in cui si bruciano le cose vecchie, il periodo che ci presenta l'esempio più resistente di un falò tradizionale che è resistito nei secoli: il pino di Grauno.
Il cuore del rito – capace di richiamare in paese, ancora oggi, molti gràuneri che si sono trasferiti altrove – comincia il sabato precedente il martedì grasso, quando viene abbattuta la pianta prescelta: il maestoso pino viene trasportato intero e sfrondato in prossimità del paese, dove rimane per alcuni giorni avvolto in un clima di magia e attesa che dura fino alla mattina del martedì grasso, quando viene trascinato con due grosse funi fino alla piazza del paese. Ad attenderlo ci sono tutti i gràuneri, pronti per “la comèdia”: a fare da sfondo all'arrivo del pino – racconta Roberto Bazzanella nella sua scheda storica sull'opuscolo della manifestazione – c'è il tribunale che deve giudicare lo sposo novello “colpevole”, e quindi costretto al “battesimo” del pino. Da lì poi parte il corteo che tra i canti e i suoni festosi si riversa nelle strade del paese per dirigersi alla “Busa da 'l Carneval”: il pino viene tirato su, in posizione verticale, ed issato in una buca di tre metri. Un momento che regale sempre emozione, e anche quest'anno non è mancata: una delle tre corde che teneva fisso il pino si è spezzata ed in pochi attimi che sono sembrati lunghissimi il grande albero è caduto, spezzandosi alla base, tra lo stupore e la tensione dei presenti. I graunerì, orgogliosi, non si sono persi d'animo, e poco tempo dopo eccoli calare nella “busa” un nuovo, altissimo albero, pronto per essere addobbato.
Protagonisti di tutta la tradizione sono i coscritti, che con i loro copricapi colorati (il “capèl da le fior”), quando arriva l'imbrunire, danno l'avvio al secolare falò insieme alla coppia di novelli sposi.
Il pino brucia illuminando il paese, l'ultimo della sponda destra, e la valle intera. Le fiamme sembrano raggiungere il cielo, portando in alto l'auspicio di abbondanza e fecondità dei graunieri, raccolti intorno al falò.
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