In una terra culla del cattolicesimo popolare, concreto quanto moderato, da qualunque parte la si osservi la vicenda non ha né vinti, né vincitori. Perché la ragione sta nel mezzo. E diventa un caso emblematico di quella diatriba politico-culturale che, soprattutto in Italia, sembra non trovare mai una composizione matura.
Qui è lo scontro, diremmo, delle due “p”. Quella del “privato”. E l’altra, del “primato”. Il privato di un orientamento sessuale. E il primato educativo, nel caso specifico di un contesto che fa riferimento ad un progetto definito, di un istituto sì paritario, ma autonomo.
Ma alla radice, ben prima dei Padri costituenti e dell’interpretazione dell’articolo 3 della Carta, strattonato alla bisogna in modo palesemente strumentale, c’è il conflitto che in altre parole rientra nell’eterno dilemma tra diritti della persona e del gruppo, del singolo e della società, tra natura e cultura. E’ un approccio scorretto alla sfera antropologica e della filosofia politica a generare senza sosta estremismi e strumentalizzazioni che vanno ben oltre la definizione di legittimi confini di campo. Da una parte e dall’altra. Radicali laici e radicali cattolici, pronti ora a cavalcare il “caso” trentino non con l’intento di giungere a un territorio minimo di condivisione, ma con il piglio di tirar su ulteriori steccati. Ben vengano gli ispettori, chiamati a far luce su una vicenda chiaramente sfuggita di mano alle interpreti di un copione che rischia però di essere scritto da altri.
Fino a qualche anno fa la piazzetta antistante l’Istituto Sacro Cuore era titolata al trentino Stefano Bellesini, agostiniano vissuto a cavallo tra Sette e Ottocento, proclamato beato da Pio X nel 1904. Ora la piazza porta il nome di Teresa Verzeri, fondatrice della congregazione delle figlie del Sacro Cuore di Gesù, proclamata santa da papa Giovanni Paolo II nel 2001. Il cambio toponomastico a Trento fece discutere non poco. Alla fine, si convenne che era meglio pensare a mettere in evidenza i meriti di entrambi, impegnati tutta la vita nell’educazione di ragazze e ragazzi, soprattutto quelli più poveri. Chissà, beati loro, che penseranno da lassù.
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