Si apre venerdì una tre-giorni di commemorazioni per ricordare la tragedia della guerra e mandare un messaggio ai giovani: siate i promotori della pace
“Io sono stato fortunato, riesco a parlarne grazie anche alla scuola, alle numerose lezioni che ho potuto fare agli studenti sulla terribile campagna russa sul Don; altri invece si sono chiusi in sé stessi per il troppo dolore”. Il prof. Guido Vettorazzo, classe 1921, sarà tra la decina di reduci rimasti che venerdì pomeriggio riceveranno l'attestazione di ricordo dal comune di Rovereto (vedi box a parte).
Nonostante l'età, continua a studiare, a cercare documenti, a produrre materiale per gli studenti. Ultimamente i suoi disegni e le sue foto sono serviti per un audiovisivo didattico, che riporta tra l'altro l'intervento di Vettorazzo, lo scorso marzo, all'Opera Armida Barelli di Rovereto. È un fiume in piena, ricorda tutto come se fosse ieri, forse perché una sofferenza simile per quanto si possa rielaborare non passa mai.
Le immagini di migliaia di soldati, vestiti di panno e calzature di cuoio, assiderati a 30-40 gradi sotto zero, senza cibo, che camminano tra cadaveri, fanno ammutolire ogni volta che si guardano. In frangenti particolarmente crudeli, c'è chi lascia con indifferenza il compagno a terra con le gambe mutilate da un ordigno, nella disperazione e nel dissanguamento. Tali racconti sono ormai indelebili nella memoria degli anziani, ma forse poco o per nulla conosciuti da moltissimi giovani. E la lezione mai imparata, se venti di guerra soffiano forti anche oggi in medioriente e proprio in Ukraina.
Tv internazionali – come la Bbc e la Cnn – hanno accennato in più occasioni in questi ultimi mesi alla possibilità di una “terza guerra mondiale” in riferimento alla vicende ucraine. Possibile? “L'Europa dovrebbe essere matta dopo quello che è successo. È cinquant'anni che stiamo in pace, almeno io finora non ho trovato delle tendenze a ragionare così”, commenta Vettorazzo.
Nel giugno del 1942 la spedizione in Russia venne rinforzata con la costituzione dell'ottava armata italiana (Armir), 230 mila uomini di cui torneranno a casa meno della metà. Vettorazzo ricorda che in sei mesi poté godere della prima messa sul fronte solo il 22 gennaio del '43, quattro giorni prima del fatidico 26 gennaio, quando i disperati della “Tridentina”, ormai accerchiati, si gettarono come una fiumana sull'appostamento russo al terrapieno ferroviario di Nikolajewka: era l'unico modo perché almeno una parte di loro potesse ritornare a casa.
Il giorno prima della messa, nello stesso calanco dove il cappellano aveva celebrato, una bomba da mortaio era piombata su una tenda: due soldati morirono e uno perse una gamba. I cappellani avevano grande contatto con i civili, alle donne distribuivano medagliette e immaginette sacre. Avvenivano anche molti battesimi. “Sul fronte ai soldati portavano la comunione ed erano assai richieste le confessioni”, conclude Vettorazzo.
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