In poco tempo si riunirono gli albergatori Nicolussi, Zanella, Pedrotti, Calovi, l’architetto Giorgio Pontara e il commerciante Girelli per pervenire a una soluzione ponderata. In questo quadro intervenne il frate minore, abile nel racimolare i fondi necessari all’edificazione della chiesetta. Cospicue furono le elargizioni di privati, essenziale la cessione del terreno per spirito di liberalità dell’Asuc di Sopramonte, massiccia la manodopera prestata dai vigili del fuoco volontari.
Il religioso, nato a Selva di Levico nel 1927, dimostrò fin da bambino una passione fervente verso la natura, specialmente le piante, tanto da laurearsi in Scienze naturali discutendo una tesi di studio fitosociologico sulle praterie del Bondone, località che porterà sempre nel cuore. Sua fu l’iniziativa di costruire quella chiesetta, inaugurata nel 1953 e aperta ai fedeli a dicembre dell’anno seguente. Un ventennio dopo padre Cetto avrebbe lasciato l’apostolato in quel luogo incontaminato e le sue radici trentine per il Brasile, travolto dal desidero di recarsi in missione.
Al suo arrivo a Itabela, a sud est di Bahia, l’indigenza della popolazione carioca e lo sconforto delle autorità locali. Dal nulla o quasi, un gramo villaggio si trasformò in una città che oggi conta 27 mila abitanti, servita anche da quelle strutture fatte mettere in piedi dal missionario trentino grazie al sostegno economico del fratello Placido e alla solidarietà dell’Associazione Amici del Brasile di Gardolo: due chiese, il centro di aggregazione sociale, due asili, una scuola agricola, innumerevoli pozzi freatici e un ospedale intitolato “Frei Ricardo” in seguito al suo decesso avvenuto nel 2000 a causa di un incidente stradale.
“Ha mangiato lo stesso pane, ha assimilato la nostra cultura e vivendo le difficoltà e la sofferenza del nostro popolo ci ha abbracciato come padre, con il fare del buon pastore, insegnando i valori della solidarietà e del lavoro, della fede e della condivisione”, avevano scritto gli indios brasiliani nel decimo anniversario della sua morte. “È giusto che finalmente i trentini lo ricordino intitolandogli qualcosa”, apprezza padre Cinti. E quella nuova piazza che sembra presidiare la chiesa a pagoda dalle ampie vetrate aperte sul Gruppo di Brenta sintetizzerebbe bene, mista a sacro e natura, “il gigante buono” che fu tra i miserevoli il missionario Riccardo.
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