Le celebrazioni per i 150 anni delle prime ascensioni sulle Dolomiti: la ricerca storica di Torchio e Decarli
Che estate formidabile quella di 150 anni fa! Il cattolico irlandese John Ball, colui che aveva “vinto” la cima aguzza del Pelmo nel 1857, mise i piedi sulla Bocca di Brenta, mentre Francis Fox Tuckett saliva il Gran Zebrù, Paul Grohman la Marmolada e lo “scienziato” Julius von Payer conquistava l'Adamello, dove oggi è ricordato fra i grandi.
Quel 1864 rappresenta la data ideale per raccontare i pionieri dell'alpinismo in Trentino, attraverso la mostra itinerante dal titolo “Centocinquanta” aperta il 4 giugno a Palazzo Trentini. Ma l'operazione di ricerca storica condotta dall'Accademia della Montagna, dalla SAT e da TrentoFilmFestival va ben oltre l'anniversario e trova una pietra miliare nei due tomi della pubblicazione “Ad Est del romanticismo” con una corposa appendice di testi. I due curatori, Fabrizio Torchio e Riccardo Decarli, hanno eseguito infatti un certosino lavoro di esplorazione archivistica che li ha portati nelle biblioteche anglosassoni a documentare il “primato” britannico e ha permesso loro di scandire le tappe della prima frequentazione alpinistica delle Dolomiti. Dai diari e dai racconti di questi docenti, avvocati, scienziati e anche semplici impiegati gli autori arrivano a descrivere una comunità di persone che si conoscevano bene e condividevano spesso gli stessi ideali vittoriani, ottenendo talvolta anche incarichi di governo. Ma non erano solo scalatori. I loro interessi scientifici, le ambizioni letterarie e i loro rapporti con le comunità trentine rappresentano una sorta di romanzo sociale. “Gli inglesi sono stati i primi a prendersi il tempo di sognare – scrive Egidio Bonapace, presidente della “Accademia della Montagna” – ma anche a trasmettere i loro sogni, le loro visioni e soprattutto le testimonianze della bellezza delle nostre montagne”.
Nel libro, nella mostra e negli incontri culturali programmati in queste settimane estive, Torchio e Decarli partono dal fascino che fin dal XIV secolo l'Italia esercitava sui viaggiatori inglesi in carrozza, generalmente nobili, che nel 1799 conoscevano la via del Brennero e scoprirono le guglie dolomitiche dentro un'esplorazione globale dell'Europa meridionale. Ma perché proprio gli inglesi? A muoverli fu il loro spirito avventuriero e conquistatore, in irrefrenabile dimensione ludica, ma vanno anche considerate la congiuntura economica legata allo sviluppo industriale, la politica vittoriana e naturalmente l'eco del romanticismo. Nel panorama dell'Ottocento inglese queste figure di “intellettuali” con gli scarponi svelano epiche storie in cui incrociano ben presto le prime guide alpine locali, spesso i loro albergatori: i Nicolussi in Brenta, i Veneri in val di Sole, i Rizzi in val di Fassa, i Bettega in Primiero… e tanti altri i cui discendenti possono trovare in queste pagine un racconto inedito sulla preistoria del turismo.
La ricerca storica risponde al quesito sul relativo “ritardo” della conquista delle principali cime dolomitiche: non era sufficientemente approfondita ancora la conoscenza dell'arrampicata su roccia dolomitica, perchè gli inglesi venivano da una formazione su ghiaccio misto o su granito. “Questo ritardo – osservano però Torchio e Decarli – non impedisce alle guide dell'epoca vittoriana di costituire un modello anche per le guide dolomitiche”.
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