Inizia la Grande Guerra?

La materia del contendere non è dunque tanto il contenuto delle leggi di riforma, quanto lo tsunami politico che esse comporteranno

L’andamento che sta prendendo la politica italiana ci fa capire che è tramontata la relativa bonaccia fra le vecchie forze politiche e il loro apparente arrendersi, più o meno di buon grado, alla novità della leadership di Renzi. Allora fuori di questo orizzonte si collocava solo il Movimento Cinque Stelle, che adesso, visto il cambio di clima, corre a rientrare in campo.

Quanto la questione sia seria lo richiama la nota di lunedì 7 luglio del Capo dello Stato, che ha, senza mezzi termini, invitato le forze politiche ad astenersi dai giochetti e ad accettare di far procedere le riforme. L’intervento è irrituale, perché non spetterebbe al Presidente della Repubblica indirizzare né le forze parlamentari, né il dibattito politico. Se Napolitano si è spinto su questo terreno, significa che coglie tutta la gravità della situazione.

Innanzitutto c’è da notare che a far fallire le iniziative di Renzi si mette il paese in una situazione di grave difficoltà nel momento in cui esso ha bisogno di una sponda UE per affrontare una situazione economica che rimane molto delicata. Ai nostri avversari in Europa non è parso vero buttarsi sul solito slogan insensato: le riforme non si annunciano, si fanno. Slogan insensato, perché il primo passo per fare una riforma è ovviamente quello di annunciarla. Certo se ci si ferma lì non serve a niente, ma non si può neppure fare una riforma lavorando solo sott'acqua senza annunciare niente. Ciò è semplicemente impossibile, visto che, giustamente, ogni riforma si basa su leggi ed atti che richiedono passaggi parlamentari, dunque passaggi e discussioni pubbliche, e considerato che questo iter un po’ di tempo lo richiede. Dunque dire che si darà all’Italia ciò che chiede quando avrà fatto fino in fondo le riforme è come dire al malato che gli si daranno le medicine opportune quando sarà guarito.

In questo panorama far fallire la leadership di Renzi sulle riforme è, lo si voglia o no, boicottare la possibilità di ripresa del paese. Al di là di questo ciò che si viene osservando è la inconsistenza delle opposizioni pregiudiziali alle riforme proposte. Che potrebbero essere fatte meglio, l’abbiamo scritto anche noi. Che così come sono fatte siano l’anticamera della catastrofe universale è una pura sciocchezza.

I fatti curiosi non mancano. Il maggiore è lo strano risveglio di Bersani che adesso teme che la riforma elettorale in cantiere assegni tutti i poteri ad un leader solo. Evidentemente è fiducioso che nessuno abbia memoria di due banalità: la prima è come lui ha fatto le liste per le ultime elezioni politiche (una operazione piuttosto in stile vecchio centralismo PCI); la seconda è che come risultato di queste liste ha avuto un partito che nel segreto dell’urna è riuscito a bruciare prima la candidatura di Marini e poi in maniera vigliacca la candidatura di Prodi alla presidenza della Repubblica.

Lasciamo perdere il cosiddetto fronte trasversale di quelli che vogliono a tutti i costi un senato elettivo nel vecchio modo. È troppo evidente che, a destra come a sinistra, quello che si teme è una restrizione delle poltrone a disposizione di una classe politica che senza quei posti rischia di uscire di scena. Lo spostamento dei baricentri di scelta dai partiti a livello centrale alle dinamiche politiche dei vari consigli regionali apre una incognita: se sia buona o cattiva lo vedremo, ma sicuramente sarà molto diversa dalle attuali distribuzioni di potere.

La materia del contendere non è dunque tanto il contenuto delle leggi di riforma, quanto lo tsunami politico che esse comporteranno. Un osservatore cinico potrebbe avvertire che non è poi detto, perché in questo paese i gattopardi abbondano, ma anche per fare i gattopardi sono necessarie abilità che non tutti hanno. Dunque si va alla “grande guerra” per azzoppare il leader che prova a fare le riforme, perché l’operazione va fatta adesso o diventerà sempre più difficile.

L’Italia è un paese che non ama la leadership: un po’ perché non permette l’eterno gioco delle fazioni e correnti in cui la nostra politica è stata allevata (e di cui hanno profittato tanti che hanno fatto il tifo dagli spalti); un po’ perché non si sente sicura di poter sostituire una leadership quando diventa frusta con una nuova, e dunque teme il ritorno delle “signorie” per non dire della dittatura. La storia della prima Repubblica è piena di leader bruciati a costo di far andare le cose peggio.

Renzi l’ha capito e sembra deciso a giocarsi il tutto per tutto, non consentendo ai suoi avversari di logorarlo, ma provocandoli allo scontro aperto e all’ultimo sangue. Una scelta coraggiosa, ma inevitabilmente destinata a chiudersi o con una vittoria o con una debacle.

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