Considerazioni nella ricorrenza del centenario della prima guerra mondiale
Gli attuali avvenimenti ucraini, nella loro implacabile evolutività già con morti e distruzioni, preoccupano l'opinione pubblica. Perché non si tratta solo di questioni locali, quali la indipendenza della Crimea con la decisione di passare alla federazione russa, le manifestazioni filorusse all'est del paese, i morti bruciati di Odessa, le azioni dei separatisti e le reazioni del governo di Kiev, mentre sullo sfondo si muovono ancora personaggi quali Yanukovich e la Tymoshenko, tanto per fare emergere due figure emblematiche. Si è delineata ai confini orientali dell'Ucraina la pressione russa minacciosa e forte di un contingente di 40 mila uomini armati, si è manifestata una decisa reazione contraria dell'Europa e si sono profilate le minacce di ritorsione dell'America.
Questo drammatico scenario globale stimola la memoria storica a ritornare al conflitto mondiale del 1914-18, di cui ricorre proprio il centenario, mentre gli storici e gli studiosi non hanno mai cessato, dopo una sterminata produzione di ricerche e di lavori, di indagare sui colpevoli di tale evento bellico. Emergono tuttora dibattiti e polemiche sull'attribuzione delle responsabilità nella insorgenza della guerra. Va subito detto che le guerre in genere, pur nel loro immane potere distruttivo, non mancano di influenzare l'intero modo di vivere, dalla tecnologia alla pratica medica, dalla rivoluzione di usi e costumi alla letteratura, dalla filosofia all'arte, in sintesi dalla geografia alla storia.
Quanto ai colpevoli, le ricerche storiche sono ancora in atto al fine della individuazione delle complesse responsabilità degli stati. Proprio per riassumere le posizioni: le mire egemoniche ed espansionistiche della Germania del kaiser Guglielmo II, vera potenza autocratica, anche militare, che minacciava di dominare l'Europa intera, il potere ma anche la decadenza asburgica, da ricordare l'omicidio a Sarajevo dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico, da parte di un giovane terrorista e la successiva invasione della Serbia, altre responsabilità incrociate da parte di stati che hanno portato a quello che è stato chiamato il suicidio dell'Europa. La colpa è stata anche interpretata come "un diffuso sonno della ragione".
Gli orrori e i crimini di questa guerra mondiale annoverano, tra l'altro, il massacro degli armeni, le deportazioni, le stragi chimiche all'iprìte, stupri di massa, altre crudeltà e atrocità, come ìn una prova generale di massacri e di genocidi tra i combattenti e pure tra i civili; non per niente c'è chi sostiene che la guerra in realtà finirà solo nel 1945! Sergio Romano, rincarando la dose, scrive: "La guerra non terminò nel novembre del 1918. In quella data, che viene ancora immeritatamente commemorata, calò il sipario sul primo atto della tragedia che si sarebbe conclusa soltanto nel maggio del 1945". Esaustiva e profonda rimane l'opera storica di Luigi Albertini, pubblicata postuma in tre volumi, Le origini della guerra del 1914, che tra l'altro dimostra l'interventismo degli intellettuali dell'epoca.
Il fronte italo-austriaco conosce altrettante atrocità. Noi trentini conosciamo e onoriamo la memoria e il sacrificio di Cesare Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa. Ricordiamo appena che le truppe del generale Diaz il 3 novembre 1918 entrano a Trento e Trieste e che il 4 novembre finisce la guerra con la vittoria italiana e la fine dell'impero Austro-Ungarico. Da menzionare, oltre al Museo del Castello del Buonconsiglio di Trento, il Museo della Grande Guerra di Borgo Valsugana. In autunno al Mart di Rovereto si terrà una grande mostra per commemorare il centenario della Prima Guerra Mondiale: essa ospiterà quadri, incisioni, foto, cartoline, film; esplorerà il rapporto tra gli artisti e la guerra (Sironi, Severini, Balla, Boccioni, Carrà, Depero, per citarne alcuni). Altro appuntamento a Chieti, con la esposizione di una cinquantina di opere di famosi artisti sul tema della Grande Guerra.
In molte nazioni, nella ricorrenza del centenario, questi accadimenti vengono ampiamente ricordati in mostre ed esposizioni: da segnalare a Berlino, al Deutsches Historiches Museum, la mostra Prima guerra mondiale, a Londra The Great War in Portraits alla National Portrait Gallery, a Vienna, al Leopold Museum L’arte nonostante tutto/ Austria 1914-1918, al Louvre di Lenz, Francia, la mostra I disastri della guerra.
Da ricordare come la Chiesa Cattolica in quegli anni abbia sempre tentato con i mezzi a propria disposizione di porre fine alla guerra definita "inutile strage" e perfino "castigo divino": ma questi interventi sono stati considerati dai governi belligeranti una interferenza negli affari di stato. Da menzionare la Prima Enciclica di Benedetto XV nella quale si fa appello ai governanti delle nazioni per far tacere le armi e fermare lo spargimento di sangue.
Alla fine della guerra, nel 1918, il complesso panorama geo-politico è così radicalmente mutato: con il crollo di imperi, lo scambio di regioni e città, la definizione di nuovi confini, gli strascichi di altre guerre, l'avvio dell'indipendenza dell'Eire dalla Gran Bretagna, la nascita di leghe tra nazioni; la situazione in Russia frattanto è cambiata coll'avvento al potere dei bolscevichi di Lenin propenso a stipulare la pace. L'umanità, pur attraverso costi spaventosi, con la fine del conflitto ha fatto nuovi passi nella propria evoluzione. E anche da un punto di vista conoscitivo studiare la guerra significa misurarsi con la stessa cultura contemporanea e valutarne componenti quali il nazionalismo, l'interventismo, il neutralismo, il socialismo, la conservazione, l'avanguardia, la spiritualità, il materialismo, l'innovazione, verificare inoltre la portata della politica, le possibilità della tecnologia e del progresso, riconsiderare i valori stessi della religione.
Una domanda, legittima quanto drammatica, nasce inevitabilmente: risulta proprio necessario e fatale questo dover sperimentare i disastri della guerra nel procedere lungo l'itinerario evolutivo? Storici e politici, scienziati ed artisti, economisti e religiosi si sono affannati su questo tema. La risposta è almeno concorde sulla inutilità, la stupidità, l'assurdità della guerra. Guerra alla guerra, dunque, e questo deve supporre – una volta acquisita la convinzione del senso totalmente negativo e assurdo della guerra – la educazione alla pace e il perseguimento della comprensione reciproca e della cooperazione tra i popoli.
Sergio Artini
Lascia una recensione