La vittoria elettorale di Renzi è stata brillante, non c’è dubbio. I paragoni con la DC di Fanfani sono sbagliati: altra epoca, altre dinamiche e soprattutto allora la DC poté sbarazzarsi di Fanfani perché i voti erano del partito e non del suo segretario (e mai leader), il che non è nel caso di Renzi. Semmai un parallelo andrebbe fatto col voto del 1948: come allora la paura di una vittoria comunista assai sbandierata e dietro cui si vedeva l’ombra di Stalin portò molti consensi alla DC di De Gasperi, così oggi il timore della netta affermazione di un Grillo sopra le righe e ultra-demagogico ha portato molti voti al riformismo del premier in carica.
Detto questo, rimane però il fatto che Renzi ora deve portare a casa dei risultati e che non gli sarà facile perché il parlamento è ancora quello uscito dalle urne disastrate dell’epoca Bersani-Monti. Alfano l’ha dichiarato apertamente: il premier ricordi che il suo governo non è un monocolore. Si tratta di un avvertimento minaccioso, ma anche scontato: se i partiti della coalizione non riescono a riconquistare una visibilità, alla prossima tornata elettorale saranno fuori gioco.
Ora, purtroppo, in questa fase sembra si acquisti visibilità solo facendo cagnara, cioè impuntandosi per piantare le proprie bandierine ideologiche (o quelle che vengono ritenute tali), battendo i pugni sul tavolo, facendo a gara per contare nella distribuzione di… aiuti a questa o quella lobby. Renzi è un politico ormai aduso a questo clima e sa benissimo cosa può aspettarsi, ma deve anche chiedersi quali armi abbia per tenere a bada questi avversari subdoli.
La minaccia di ricorrere alle elezioni anticipate funzionerebbe solo se fosse in grado di addossare la colpa della ingovernabilità agli altri. Non è una operazione facile, perché naturalmente i suoi avversari non saranno tanto ingenui da regalargli questo vantaggio: fingeranno di chiedere solo “miglioramenti” per le riforme in campo, di limitarsi a difendere le libertà del sistema dal pericolo di un monopolio di potere da parte del nuovo vincitore elettorale.
Temiamo che in questa partita Renzi sia solo contro tutti, perché oltre ai suoi alleati anche i suoi avversari hanno tutto l’interesse ad azzopparlo. Piaccia o meno il segnale che è uscito dalle urne il 25 maggio è che il paese potrebbe anche essere compattato attorno ad un leader credibile. E’ certo vero che l’astensionismo è stato molto forte, ma se giudichiamo dalle percentuali di quelli che hanno votato alle amministrative (elezioni tradizionalmente partecipate) non si può ipotizzare un recupero molto alto di elettori delusi, tale da sconvolgere l’attuale panorama. Alle amministrative ha votato circa il 70% degli aventi diritto, cioè circa un 12% in più di quanti hanno votato alle europee. Anche prescindendo dal fatto che anche in quel caso la dinamica è stata simile regalando un gran successo al PD, è comunque vero che raramente gli astenuti appartengono tutti ad uno stesso partito, o a pochi partiti, ma di solito si spalmano su tutto il ventaglio delle posizioni in campo.
Potendo fare scarso conto sul mitico “recupero degli astenuti”, significa che è probabile scatti una solidarietà di quelle classi politiche che da una stabilizzazione della vittoria di Renzi verrebbero quantomeno pesantemente ridimensionate e che dunque tutte, come si dice, marceranno divise per colpire unite.
Su chi può allora contare il premier per continuare nel suo disegno politico? Esattamente sulla stessa forza che gli ha dato la vittoria in questi ultimi due anni: quella ampia opinione pubblica che vuole scommettere sul cambiamento, che non si fida più delle “vecchie” classi politiche (e non è solo questione di età anagrafica), che vuole almeno provare a rinnovare le regole del gioco politico. Una opinione pubblica che è ormai trasversale alla vecchia geografia politica. I partiti che non capiscono (Scelta Civica, Italia dei valori, ecc.) sono spazzati via, quelli che capiscono fino ad un certo punto (NCD e compagni, FI, SEL) sono marginalizzati.
Certo poi ci sono gli oppositori a prescindere, ma o sono ali estreme che si beano delle loro crescite, ma non si rendono conto che non usciranno dal loro ghetto (la Lega di Salvini somiglia da questo punto di vista al vecchio MSI), o sono alternative radicaleggianti alla Grillo che hanno una forza ancora notevole, ma che non riusciranno a sfruttarla se non escono dal limbo dei predicatori dell’apocalisse e entrano nel terreno della vera azione politica (quello che fece il PCI quando riuscì a svincolarsi dal mito della rivoluzione finale sovietica).
La partita che si apre ora è interessante. Speriamo davvero che la novità si consolidi, si dimensioni, e porti qualche buon frutto.
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