Sconosciuto a molti compaesani, il beato Antonio Rosmini (1797-1855) affascina quando ci si accosta al suo mondo. È l'esperienza vissuta da quarantadue trentini, in gran parte dalla Vallagarina, che il 9 e 10 maggio scorsi hanno intrapreso la prima gita-pellegrinaggio nei luoghi rosminiani, dal titolo “Rosmini, questo sconosciuto”, guidata da padre Alfredo Giovannini.
L'evento, organizzato da Donatella Segarizzi di “Orizzonti di riflessione”, è stato anticipato da una visita, giovedì 8 maggio, alla Casa natale Rosmini di Rovereto. Un gioiello che gli stessi roveretani spesso danno per scontato. Eppure il palazzo racchiude in sé non solo il fascino della vita nobiliare sette-ottocentesca ma la testimonianza di una persona esemplare, dotata di molteplici doni spirituali e intellettuali, che ha saputo far fruttificare a gloria di Dio e per il bene del prossimo. Se da un lato si rimane a bocca aperta davanti ai 24mila volumi della biblioteca storica, ai mobili antichi e alle numerose opere d'arte, dall'altro emerge la figura di un sacerdote che ha saputo lasciare tutto questo per una solitaria e fredda cella, al Calvario di Domodossola, dove ora si trova la Casa rosminiana di esercizi spirituali. Lì, nella quaresima del 1828, in meditazione e preghiera, il beato filosofo diede inizio all'Istituto della Carità, il cui scopo è la santificazione dei suoi membri. “Ho goduto di questo sentire mistico e di questa spiritualità”, dice Franca, una delle pellegrine.
La Sacra di San Michele Arcangelo, imponente abbazia romanica del decimo secolo, arroccata sul monte Pirchiriano in Val di Susa, è stata la prima tappa (vedi box a parte). I pellegrini hanno pregato sulla tomba del beato, dopo la messa celebrata nel Santuario del SS. Crocifisso, fatto erigere dal Rosmini presso il Collegio rosminiano di Stresa. Sempre nella cittadina lacustre, è seguita una visita al Centro internazionale di studi rosminiani, dove accanto ad una aggiornatissima biblioteca si può vedere la camera dove il Rosmini morì, con a fianco l'amico Alessandro Manzoni. “Ho potuto conoscere qualcosa di ciò che il Rosmini ha fatto dal punto di vista umanistico e filosofico all'interno della Chiesa”, afferma Gianni di Rovereto, che prima di questa esperienza non aveva alcuna conoscenza della vita del filosofo.
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