400 milioni di elettori dei 28 Paesi aderenti all’Unione Europea sono chiamati dal 22 al 25 maggio ad eleggere i propri 751 rappresentanti al Parlamento di Bruxelles. Un appuntamento che giunge, significativamente, a 100 anni dall’inizio di quell’”inutile strage” che fu “Grande” innanzitutto per il dolore e la distruzione che provocò nella quotidianità di milioni di uomini e donne ed a 75 dallo scoppio del secondo conflitto mondiale. Due drammi dopo i quali sembrava impossibile che parole quali “pace” e “riconciliazione” potessero ancora risuonare nel Vecchio Continente: eppure la caparbietà e la lungimiranza di un gruppo eterogeneo di persone, ispirate dagli stessi ideali, permise di riprendere il dialogo fra coloro che sembravano divisi per sempre dall’odio e dal sospetto.
Una realtà che oggi diamo troppo facilmente per scontata, dimenticando la fatica che il raggiungere questo traguardo è costata. Un dato su cui riflettere soprattutto in un momento di crisi come l’attuale in cui pare inarrestabile l’ondata populista degli euroscettici: una situazione favorita dal ritorno impetuoso di nazionalismi alimentati in troppi casi dagli stessi governi incapaci di farsi portatori di una vera “solidarietà europea” che sappia andare oltre gli interessi particolari. E questo lo vediamo, drammaticamente, nella non-volontà di affrontare insieme il dramma dell’immigrazione con il continuo rimpallarsi delle responsabilità fra i Governi.
Oggi quasi il 70 per cento della legislazione nazionale italiana rappresenta il recepimento di quanto stabilito a Bruxelles. Già questo la dice lunga sull’importanza del gesto che siamo chiamati a compiere domenica 25 maggio tenuto per di più conto che il Trattato di Lisbona ha visto il Parlamento aumentare notevolmente i propri poteri esclusivi e di co-decisione con il Consiglio dei ministri e quindi la propria responsabilità.
In queste settimane anche nel nostro Paese i maggiori leader si sono rincorsi nel prendere, con tutti i distinguo del caso, le distanze dall’Unione. Senza interrogarsi, peraltro, sulle reali cause dell’incapacità italiana di influire nei luoghi dove si decide il futuro del Continente: un dato che rimane costante pur (o proprio per) nel vorticoso susseguirsi di inquilini a Palazzo Chigi. Da mucca da mungere senza ritegno a matrigna disposta solo ad imporre sacrifici ai propri figli, l’Europa è sempre stata vista in chiave essenzialmente economica: l’Euro, quindi, è divenuto l’unica causa di quel tunnel di crisi in cui si sono infilate le famiglie italiane senza poter intravvedere ancora la luce dell’uscita e le prossime elezioni sono state trasformate quasi in un referendum sul suo destino. La moneta unica doveva rappresentare il compimento di quell’unione politica che doveva trovare nei popoli – e non nell’economie – il proprio riferimento.
E questo lo sappiamo bene noi abitanti del Nord Est d’Italia. Il nostro territorio ha il suo naturale sbocco, da secoli, tanto nell’Europa settentrionale di lingua e cultura tedesca quanto in quella balcanica di lingua e cultura slava. Qui, per ricordare le parole del papa santo Giovanni Paolo II, veramente l’Europa respira con i suoi due polmoni dell’Occidente e dell’Oriente. Nel Veneto, in Trentino – Alto Adige Sudtirol, in Friuli Venezia Giulia. I nostri uomini e le nostre donne, sia detto senza retorica, sono europei da ben prima che l’Unione divenisse una realtà istituzionalizzata. E questo costituisce una ricchezza che è unica in tutto il continente.
Come cattolici siamo chiamati ad un impegno ulteriore di presenza. Per fare in modo che l’Europa non continui a dimenticare, a partire dalla propria legislazione, le proprie radici cristiane e la reale portata dell’eredità religiosa trasmessale dalle generazioni passate. A chi considera questo un dato secondario, ricordiamo le parole di un pensatore come Max Weber, il quale pur nella sua laicità non aveva alcun dubbio sull’identità del Vecchio Continente: “Nel trattare i problemi della storia universale, il figlio della moderna cultura europea formulerà inevitabilmente e a ragione la seguente domanda: per quale concatenazione di circostanze, proprio qui, in terra d’Occidente, e soltanto qui, si sono prodotti dei fenomeni culturali i quali si sono trovati in una direttrice di sviluppo di significato e di validità universali?”.
Diceva un politico che “fatta l’Europa, bisogna fare gli europei”. In verità gli europei sono già fatti. Ciascuno di noi lo è. Dobbiamo averne coscienza e prendere a cuore il futuro degli uomini e delle donne del nostro Continente. Il gesto di recarsi alle urne domenica può essere un primo, significativo passo.
I direttori dei settimanali diocesani del Triveneto
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