“Chi si prende cura di chi?”. Questa la domanda provocatoria da cui partiva il seminario residenziale di formazione promosso dall'ACOS (Associazione Cattolica Operatori Sanitari), che si è svolto il 4 e 5 aprile a Terzolas in val di Sole. Attenta e vivace la partecipazione di una settantina di persone fra operatori sanitari e studenti delle professioni sanitarie in formazione, provenienti anche da fuori regione.
Partendo dall'ipotesi che la relazione di cura non sia una relazione “a senso unico”, in cui è solo il curante che si prende cura del curato, ma che ciascuno possa essere per l'altro un soggetto attivo in una profonda interazione, il corso di formazione proponeva ai partecipanti di vivere sulla loro pelle il concreto articolarsi delle relazioni di cura, accompagnandoli all'ascolto di sé per metterli in contatto con le proprie risorse personali interiori, e stimolando una riflessione filosofica ancorata all'esperienza professionale e di vita.
Attraverso le originali attività proposte dai formatori, gli allievi del corso hanno dapprima sperimentato alcune dinamiche che vivono nei luoghi di cura, raccogliendo diverse suggestioni relative al modo di stare in gruppo e di prendersi cura di se stessi e degli altri membri di esso.
Un “viaggio” che è poi proseguito nell'interiorità di ciascuno, consapevoli che lo “star bene” è un aspetto fondamentale del prendersi cura, da non leggere in maniera unilaterale. Attraverso esercizi di bioenergetica legati allo stare, al respirare, al ri-suonare, al lasciare andare, gli allievi hanno scoperto l'importanza dell'ascolto del proprio corpo e la ricettività di quello altrui, attivando canali di interazioni possibili, nel rispetto dell'altro. E, nei diversi esercizi, tornavano spesso in gioco gli spunti iniziali relativi al prendersi cura e alla questione del suo "chi".
“Con il laboratorio di bioenergetica – scrive Giada famà, una delle allieve – ho imparato e capito che saper ascoltare il proprio corpo è fondamentale, perché se non se non si è capaci di prendersi cura di se stessi, difficilmente ci si interessa all’altro prendendosene cura”.
Prima di salutare gli allievi, preoccupati di saper trasferire quanto appreso nella loro pratica professionale, il formatore Paolo Dordoni ha suggerito: “prima di fare, forse bisogna stare, saper stare, recuperare consapevolezze, forze; prima di intervenire, bisogna essere consapevoli delle nostre ritualità, di come interveniamo di solito, di quale logica adoperiamo, senza che ce ne rendiamo conto. Altrimenti potremmo continuare a replicare una dinamica di chiusura e non di apertura, consapevoli che trovare la giusta distanza è anche e ad un tempo stare nella giusta vicinanza e viceversa, seguendo quel moto oscillante tra vicino e lontano, che si ha su quell'altalena che sono anche i nostri rapporti umani”.
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