L’evoluzione politica, tutta dominata dallo scontro per fare delle elezioni europee il test sugli assetti futuri del paese, si va sempre più complicando. C’è in campo un po’ di tutto: dal populismo bieco al radicalismo cieco, dal riformismo approssimativo al gioco parlamentare spregiudicato.
Vediamo di raccapezzarsi in questo bailamme. Il populismo ha ormai i due volti, non esattamente coincidenti, di Grillo e Salvini. Il comico trasformatosi in messia delle piazze alza sempre più i toni e punta chiaramente ad esasperare la situazione nella speranza di potersi presentare come il vincitore relativo che si trasforma nel vincitore assoluto. In un paese sempre più esasperato dalla crisi e dalla mancanza di prospettive per il futuro il rischio che ci riesca non è da sottovalutare.
Salvini e la Lega dal canto loro cavalcano lo stesso antieuropeismo, illudendosi di ritagliarsi così un ruolo di qualche peso. Difficilmente riusciranno a produrre qualcosa di più di una versione ammodernata dei “Masaniello”, questa volta del Nord anziché del Sud.
A dargli una mano concorrono i vari radicalismi: non molto capace di presa quello dell’estrema destra, più pericoloso quella dell’estrema sinistra. Sotto questo profilo stupiscono ogni giorno di più i sindacati che si ostinano a non rivedere un loro profilo di cogestione della politica che non si è rivelato produttivo, come è sotto gli occhi di tutti. Le liturgie verbali della Camusso e compagnia su “lavoratori e pensionati”, che non a caso evitano di menzionare i disoccupati, non conducono da nessuna parte. Il governo ha buon gioco nel dire che tocca a lui decidere, mentre i sindacati invece di mettere in campo vere proposte alternative si limitano a lamentarsi di non essere consultati (come se per avanzare proposte o critiche puntuali e costruttive fosse necessario avere una convocazione ad hoc).
Naturalmente ci sono debolezze anche sul fronte governativo. Renzi, per cercare di tenere sotto controllo un partito in gran parte riottoso, ma al tempo stesso incapace di produrre vere proposte politiche alternative, si trova costretto ad accelerare su un riformismo approssimativo, in cui l’enunciazione del titolo del tema prevale su uno svolgimento razionale del contenuto. La sua maggiore debolezza è nell’avere ridotto la battaglia politica al suo successo personale, il che costituisce un passaggio importante (non si fanno cambiamenti senza l’affermazione di una leadership), ma sconta la mancanza del coinvolgimento di una larga fascia di “impegnati” che lo supportino. Senza una componente di questo genere, nella storia nessun cambiamento è mai riuscito.
In questo contesto è interessante osservare il procedere a zig zag di Berlusconi. L’uomo ha un suo fiuto politico e benché sia in una condizione personale assai difficile, privato di molta dell’aura che si era data di uomo della provvidenza, talora mostra di non aver perso del tutto il vecchio fiuto.
Lasciate perdere le trovate populiste sulla pensione minima da 800, anzi forse da 1000 euro. Quelle sono promesse mirabolanti che sa non possono attecchire che su una fascia marginale dell’elettorato, perché ci si ricorda bene delle tante mirabolanti promesse (ricordate il milione di posti di lavoro?) che non è stato in grado di mantenere in tempi assai più facili di quelli odierni.
No, la sua vera svolta è il messaggio, lasciato cadere di recente, di essere pronto dopo le europee a tornare al governo con Renzi. Il leader di Forza Italia sembra avere capito che la proposta riformatrice dell’attuale premier incontra un largo consenso sia popolare sia in buona parte delle classi dirigenti e che dunque prenderla di petto non pagherebbe. Meglio sfruttare le paure che pure circolano che queste riforme prospettate scombinino troppo le posizioni acquisite: sono sentimenti largamente circolanti, si pensi anche solo al settore, tutt’altro che marginale, della pubblica amministrazione.
Berlusconi si offre dunque come l’alleato “moderatore” oltre che moderato della nuova stagione riformista, il garante che quei cambiamenti che larga parte del paese considera inevitabili non sconvolgeranno troppo le rendite sociali e le certezze acquisite.
Si capisce che tutto questo disegna un quadro di notevole difficoltà, dove gli spazi per incursioni e manovre sono assai ampi, sia per i partiti, sia, e forse è ancor più pericoloso, per le molte componenti di piccolo calibro di cui è ancora ricco il nostro quadro politico.
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