“Un paziente speciale”

In un libro il memoriale del dott. Giovanni Salgarello, che oggi vive a Cles: “Alla fine ci impartì la benedizione”

In un libro autobiografico dal titolo “Ed ora riprendo a dipingere”, edito all'antivigilia della cerimonia di canonizzazione, il chirurgo Giovanni Salgarello che il 13 maggio 1981 ha eseguito il primo intervento su Papa Giovanni Paolo II a seguito dell'attentato in piazza San Pietro da parte di Alì Agca, terrorista e criminale turco, militante dei “Lupi grigi” nato in Turchia nel 1958, racconta tutte le fasi della delicata operazione. Apre il capitolo dedicato alla sparatoria in Piazza San Pietro con una premessa che riguarda il secondo grave rischio che si era aggiunto al colpo di pistola all'addome, patito dal Papa, “elevatissimo” per le distanze che separavano il luogo del ferimento dal pronto soccorso del Policlinico Gemelli, in via Pineta Sacchetti”. “Sono occorsi – scrive – più di 30 minuti per raggiungere il Gemelli ed altrettanto tempo per l'acceso alla sala operatoria al IX piano del Policlinico”: “un'ora scandita da minuti che non finivano mai”. Il Papa presentava una grave emorragia interna rilevata alla laparotomia. In quella “lunghissima interminabile ora poteva anche verificarsi la “perdita” dell'illustre Paziente che per senso di devozione l'autore riporta con la P maiuscola. “Per fortuna così non è stato – commenta – e la fortuna a braccetto con la professionalità dei chirurghi, ha prevalso”. L'intervento era incominciato verso le 17, su chiamata della caposala suor Ausilia. L'équipè di chirurghi, costituita dal prof. Salgarello, dal prof. Wiel Marin, dal prof. Zucchetti, dal dott. Ronconi e dal prof, Beccia, anestesista, verso le 18 è raggiunta anche dal prof. Crucitti e verso le 19, mentre l'intervento era alle fine anche dal direttore della Clinica, il prof. Giancarlo Castiglioni, arrivato in aereo da Milano. Togliendosi qualche sassolino Giovanni Salgarello, descrive sin nei minimi particolari tutte le fasi dell'operazione, in parte compromesse da colleghi che volevano avere la loro parte di celebrità, incorsi in un “grave e imperdonabile errore di valutazione commesso proprio in un momento critico dell'intervento”, aprendo un varco ad un'infezione intervenendo sul peritoneo posteriore.

Salgarello aveva anticipato questo suo disappunto, con il supporto delle annotazioni nella cartella clinica, proprio a Vita Trentina, nel corso di un'intervista di qualche anno fa. Dopo il pensionamento nel 1997 da docente e primario di Fisiopatologia digestiva chirurgica, alla Cattolica di Roma, si è ritirato con la famiglia a Cles, dandosi alla pittura. Nonostante gli incidenti di percorso, una volta superate tutte le criticità, affermando che “tutto è bene quello che finisce bene”, riconduce il caso alla sua cornice religiosa, mistica, legata alla personalità dell'infermo, sottoposto successivamente ad altri due interventi, uno peraltro calendarizzato, per risolvere la normale canalizzazione intestinale e per l'asportazione di una formazione benigna al colon-sigma (1981), descrivendo così il risveglio del Papa: “All'alba ripassai – racconta – nella stanza per controllare le condizioni del Paziente. C'era suor Vincenzina ed un infermiere di turno. Il pontefice era sveglio e, con voce flebile, ci invitò a recitare le preghiere del mattino. Ci inginocchiammo e silenziosamente seguimmo il bisbiglio del Papa, il quale alla fine volle impartirci la benedizione”.

Nel momento in cui stava per lasciare la stanza, Salgarello, è richiamato dal Papa. Messosi in ginocchio accanto al letto dell'infermo, con un ”sussurro ed una voce commossa” si sente chiedere: “Come è andata l'operazione?” “Santità – questa la parte terminale del racconto e del libro – è stato un vero miracolo! Rimase un attimo in silenzio, pensieroso e poi sussurrò: la Madonna ha tenuto fede alla sua promessa”. Una frase “storica – conclude Giovanni Salgarello – che mi è rimasta scolpita nel cuore e nella mente” e che voleva forse ricondurre al terzo segreto di Fatima?

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