Storie di riscatto e di recupero al lavoro nella struttura di accoglienza della Fondazione Comunità Solidale in via Cervara a Trento
Buttati fuori dal mercato del lavoro, faticano a rientrarvi. E più passa il tempo, più aumenta la probabilità che l’esclusione diventi definitiva. A misurare gli effetti della crisi economica è anche l’ultimo rapporto dell’associazione “Avvocato di strada”. Sempre più persone si sono rivolte nel corso del 2013 ai 13 sportelli presenti in Italia. La maggior parte di loro ha problemi legati alla residenza e al lavoro.
E’ un’emergenza sociale devastante. Lo sanno bene gli operatori della struttura di accoglienza “Il sentiero”, gestita dalla Fondazione Comunità Solidale, il braccio operativo della Caritas di Trento. La casa di via Cervare (un tempo conosciuta dai trentini come la “casa del clero”, perché qui erano ospitati i preti anziani o ammalati) accoglie 14 persone che vivono una situazione di disagio – chi per problemi di dipendenza (da alcol o da droga), chi per altre sofferenze e sempre più spesso chi è rapidamente precipitato da una situazione di relativo benessere nell’abisso della miseria e della disperazione, a causda della perdita del lavoro o in seguito a una separazione – che qui hanno l’opportunità di seguire per un periodo di tempo che può andare dai tre ai quattro, cinque mesi un percorso personalizzato verso un possibile reinserimento sociale.
“Guardiamo al vissuto della persona, cerchiamo di capire i suoi punti di debolezza e di forza, e da lì partiamo per costruire un percorso individualizzato che porti all’inclusione”, spiega l’operatore Raffaele Michelotti. A “Il sentiero” sono in sette – cinque a tempo pieno, due part-time – ad occuparsi dell’accoglienza, offrendo, oltre a una soluzione per l’alloggio, anche pane e relazioni. “Ogni progetto è costruito sulla persona – continua Michelotti -, fissiamo degli obiettivi e cerchiamo di costruire insieme il percorso per raggiungerli. In questo gli ospiti sono parte attiva, partecipano agli incontri, sono coinvolti nel loro processo di integrazione”.
In risposta all'emergente problema del lavoro, “Il sentiero” ha attivato, a ottobre 2012, un servizio di ricerca lavoro, che si affianca alle iniziative di formazione rivolte agli ospiti. “Spingiamo le persone a iscriversi a corsi di formazione, a prendere contatti con l'Agenzia del lavoro, li aiutiamo a inviare un curriculum ben fatto… e qualche risultato si comincia a vedere”, osserva Michelotti.
Ammoniva Papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate: “L’estromissione dal lavoro per lungo tempo, oppure la dipendenza prolungata dall’assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale”, ricordando soprattutto a chi governa che “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità”. Qui in via della Cervara sono parole che sottoscrivono in pieno. Passo passo, come è nello stile della Fondazione Comunità Solidale, gli operatori e i qualificati volontari (la formazione è una preoccupazione costante della Fondazione, ci ricorda la responsabile dei volontari Lorenza Azzolini), una quindicina attualmente, seguiti da Marina Simeon, accompagnano gli ospiti lungo il cammino che farà crescere l’autostima e la consapevolezza di sé, fino alla piena autonomia.
Come è accaduto a N., accolto nell’aprile 2013. Era finito sulla strada, viveva in un sottoscala in piazza Venezia. Racconta Michelotti: “Gli abbiamo dato una mano a fare il curriculum, gli abbiamo aperto una casella di posta elettronica e insieme abbiamo consultato gli annunci di lavoro. Nel giro di un mese e mezzo ha fatto quattro colloqui di lavoro, è stato assunto e oggi vive in un appartamento per conto suo”.
Oppure a G., già ospite del “Sentiero”, che ora lavora come aiuto cuoco in un locale in città e frequenta ancora la struttura della Fondazione Comunità Solidale, ma solo perché vi torna da volontario, per dare una mano agli altri.
Espulsi, esclusi, dimenticati. E oggi totalmete emancipatisi dai servizi e pienamente “restituiti” alla vita sociale. A certificarlo, osserva con accenti tra l’amaro e il faceto Michelotti, ma in fondo con compiaciuta soddisfazione e umana partecipazione, sono le cartelle di Equitalia che entrambi si sono subito ritrovati nella casella della posta.
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