Premetto che io non faccio politica, faccio l'amministratore di una cittadina complessa.
Ho fatto innanzitutto l'esperienza che si può cambiar vita: ho voluto ritrasferirmi in Calabria per far crescere i miei figli nella terra in cui ero nata, anche se il primo impatto è stata la delusione: avevo trovato le cose cambiate, in peggio.
Dopo 10 anni erano 2 gli avvenimenti-chiave del cambiamento: la rivolta dei migranti (con l'accusa della caccia all'africano) e il commissariamento del Comune a causa di “infiltrazioni mafiose”.
All'inizio ho cercato di resistere alla pressione alla candidatura, poi ho accettato come una “scelta di famiglia”. Ma ho sperimentato subito (una lettera di un boss in carcere) come il sogno del cambiamento sia destinato ad infrangersi contro la realtà: sono stata battezzata “il sindaco degli africani”. Eppure una delle parole che mi accompagnano è “resistere” perché la malapolitica è più pericolosa della 'ndrangheta.
In questi anni ho maturato la consapevolezza di possedere una forza che mai avrei pensato di avere. Esistono tantissimi bisogni e nuove povertà cui far fronte, un tessuto sociale che si sta disgregando, una scuola ancora molto classista, ma soprattutto quello che a noi manca è il senso di appartenenza, il senso delle cose comuni.
Con la mia squadra vogliamo dimostrare che non c'è solo la politica che ruba o che è corrotta: esistono molte persone che lavorano per il bene della propria città.
In una politica ancora maschilista, sarò soddisfatta se qualche bambina di Rosarno vorrà cimentarsi anche lei fra qualche anno a cambiare le cose che allora andranno cambiate.
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