La giornata era stupenda e la bellezza naturale dei “Pradiei” dell’alta val di Non, in questo periodo, ha reso ancora più intensa e sentita la celebrazione e l’elevazione dello Spirito verso Dio. Una lunga fila di fedeli oranti ha seguito la croce. Hanno partecipato le parrocchie di Amblar, Cavareno, Dambel, Don, Malgolo, Romeno, Ronzone, Ruffrè, Salter Sarnonico e Seio, facenti parte di due Unità Pastorali dell’Alta Valle. Il tema di preghiera e riflessione che ha accompagnato la celebrazione è stato quello del lavoro, che anche in valle inizia a scarseggiare e a creare seri problemi, come ha sottolineato il decano. La lettura di brani del vangelo è stata associata a quella delle riflessioni di papa Francesco tratte dalla “Evangelii Gaudium, n.54”. Per non appesantire troppo la Via Crucis, sono state fatte solo sette stazioni.
Monsignor Francesco Montenegro è stato invitato in val di Non dal gruppo di giovani dell’Alta Valle dell’associazione “La storia siamo noi”, guidata dal decano don Mauro Leonardelli e da Giorgio Giuliani. L’anno scorso, al termine di un percorso sul lavoro e sulla legalità, si erano recati in Sicilia per conoscere da vicino la realtà dell’associazione antimafia “Libera”; in questo viaggio avevano avuto modo di conoscere l’impegno contro la mafia dell’arcivescovo, che si era rifiutato di celebrare il funerale a tre mafiosi. La sera, monsignor Montenegro ha incontrato i giovani del gruppo e le comunità al Palanaunia di Fondo, con la folla delle grandi occasioni. Ha curato l’intervista il giornalista di “Avvenire” Toni Mira. L’arcivescovo, rispondendo alle domande, ha spiegato anche il motivo del suo rifiuto di celebrare tre funerali ai mafiosi : “L’eucarestia è un sacramento dell’amore di Gesù e perché si dovrebbe celebrare per chi lo ha calpestato per tutta la sua vita?”. Quali sono gli anticorpi contro la mafia? – è stato chiesto a Montenegro durante l’intervista. “Il vangelo è il manuale antimafia. La mafia non è solo in Sicilia ma è dappertutto, anche dove devi pagare 100 euro all’usciere per fare una pratica”.
Ha fatto da filo conduttore della serata la frase del vangelo: “Ero straniero, mi avete accolto”. Monsignor Montenegro ha raccontato come la vista straziante del recupero dei 300 corpi affondati assieme al barcone abbia messo a dura prova la sua fede; i corpi venivano ripescati con un crocefisso in bocca, con una medaglietta oppure con le mani giunte e poi venivano infilati in grandi sacche di plastica nere e richiusi con cerniere lampo. “300 morti sono diventati famosi e gli altri 20.000 morti in mare sono passati sotto l’indifferenza di tutti. Non c’è niente di più terribile che vedere il mare pieno di teste senza vita. Sono entrato in piena crisi. I soldati, i poliziotti piangevano, non c’erano immigrati ma fratelli e sorelle. La presenza degli immigrati mette in difficoltà il nostro modo di essere, ci ricordano la povertà, che ci fa paura”. Ha continuato: “Mi sto sforzando di leggere la storia di Lampedusa con la Bibbia in mano e colgo molte similitudini fra le vicende del popolo eletto e quelle degli immigrati, uno fra tutti il viaggio verso la ‘Terra promessa’. Quando è arrivato il Papa sentivo il profeta che passava, che era Dio che entrava in quella terra. Quello che manca in Italia non sono i centri di prima accoglienza, ma la cultura dell’accoglienza, e si deve cambiare mentalità”.
Al termine dell’intervista, l’arcivescovo di Agrigento ha detto: “La politica è la forma più alta di carità, non si possono trovare soluzioni ai problemi al di fuori della politica. Tutti devono saper stare al proprio posto”. Lunedì ha concluso la sua visita incontrando gli studenti delle scuole professionali, dell’ENAIP e dell’UPT di Cles.
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