Ridare spazio e significato alle parole, per ritrovare l'autenticità del fare scuola
Se è vero come sottolineava il Regolamento per la definizione dei piani di studio della provincia di Trento, che “non basta convivere nella società, ma bisogna crearla continuamente”, è vero altresì che “bisogna fare in modo che la vita sia anche a scuola e che questa sia quel laboratorio di integrazione che addestra alla vita intera”. Una considerazione pienamente condivisibile, alla quale ci conduce Mariapia Veladiano nel suo ultimo lavoro “Parole di scuola” in uscita per le edizioni trentine Erickson. Di scuola appunto parla l’autrice, ma lo fa prendendo in considerazione le più diverse parole che ci parlano di scuola, riempiendole o, se vogliamo, ridando loro un significato pieno e profondo. Parole che vogliono avere un ruolo centrale proprio “perché possono essere forti senza essere violente, possono trasformare il mondo, possono ricostruire la fiducia e la giustizia e mettono in gioco la volontà, l’intelligenza delle donne e degli uomini”.
Laureata in filosofia e teologia, Mariapia Veladiano ha felicemente insegnato lettere per più di vent’anni e ora è preside a Rovereto. Collabora con «Repubblica», «Avvenire» e con la rivista «Il Regno». Nel 2010 il suo primo romanzo, La vita accanto, vince il Premio Calvino e l’anno dopo arriva secondo al Premio Strega; seguono Il tempo è un dio breve (2012), Messaggi da lontano (2012) e Ma come tu resisti, vita (2013). In questo suo nuovo scritto per Erickson c’è tanta scuola, si percepisce affetto e passione per quel “bel laboratorio di convivenza” che è metafora della vita stessa, ma che è anche “un viaggio controvento, necessario e faticoso dove le parole sono il nostro strumento”. Tuttavia anche se la scuola fatica ogni giorno a guadagnarsi quella fiducia che un tempo le era unanimemente riconosciuta, il lavoro di Veladiano è denso di speranza ed ottimismo: nei ragazzi, negli insegnanti, nei genitori.
Ridare spazio, senso e significato alle parole, ci aiuta anche a superare quella paura sulla quale è sempre più schiacciata la nostra quotidianità, a “prenderci cura del pezzetto di mondo che ci viene affidato, a lavorare per coltivarlo, a lasciarlo a chi ci sta intorno e a chi viene dopo di noi migliore di come lo abbiamo trovato”. Le parole di scuola non sono allora altro che le parole di questo nostro mondo, del nostro vivere quotidiano, alle quale dobbiamo tornare a dare significato, senso e spazio. Spazio alla parola, alle parole, dunque, ad alla lettura, che altro non è se non apertura continua alla parola ed ai suoi significati più profondi: “i libri a scuola bisogna bene che i ragazzi li possano trovare. Bisogna disseminare la loro strada di libri belli. Perché anche lo studente più riluttante possa trovare quello che lo fa innamorare. Non si può immaginare un modo diverso perché questo capiti se non quello di farli incontrare: esporre gli studenti al libro e alla lettura”.
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