Al voto, orfani di Mandela

In maggio si tengono le elezioni parlamentari e amministrative in Sudafrica. Le diseguaglianze sociali sono state appena scalfite

Stavolta le elezioni parlamentari e amministrative di maggio in Sudafrica assumono un altro aspetto. Manca Nelson Mandela. E, se possibile, la “Nazione arcobaleno” si sente ancor più orfana. Senza qualcuno che di Madiba abbia raccolto l’eredità e sia in grado di trasmettere un’idea stessa di futuro per le grandi masse di diseredati.

Già durante i giorni delle esequie e del lutto nazionale, a gennaio, i fischi rivolti ripetutamente nei confronti di Jacob Zuma, il corrotto, più volte  indagato,  attuale leader sudafricano, davano la sensazione palpabile della cesura esistente tra rappresentati e rappresentanti in quella che vorrebbe essere un esempio di democrazia e di convivenza tra razze ed etnie a vent’anni esatti dalla fine del regime segregazionista.

I tempi della storia sono assai lunghi, ma in Sudafrica  le diseguaglianze sociali sono state appena scalfite, senza toccare i meccanismi stessi che le generano e cioè  l’iniqua distribuzione della ricchezza nazionale, una tassazione prevalente sui redditi da lavoro, l’esclusione dei neri dalla possibilità di ascendere socialmente se non per pochi privilegiati.

Tensioni sociali acutissime percorrono il sostrato istituzionale  ed economico  della Rainbow Nation e due particolarmente descrivono i sintomi di fragilissimi equilibri tra le classi sociali. Riguardano le proteste dei minatori e il riesplodere dell’antinomia fra diritto alla salute e leggi di mercato nel settore nevralgico e strategico dei farmaci. Sono almeno centomila i minatori che nella cintura industriale del platino nei pressi di Johannesburg portano avanti da settimane forme di lotta e di resistenza durissime contro le multinazionali del settore (tra cui la potente Anglo american platinum). A trattare per conto dei lavoratori è ormai il più radicale e intransigente sindacato, l’Amcu (Association of mineworkers and construction union) che non a caso per adesione e simpatia della base ha soppiantato i tradizionali e accomodanti sindacati tradizionali di categoria. Ebbene, l’Amcu chiede più del raddoppio  dell’attuale salario di sussistenza,  una richiesta che può apparire paradossale e addirittura provocatoria se non fosse che partono da un paio  assunti difficilmente contestabili. Innanzitutto i bilanci delle compagni minerarie, nonostante l’andamento altalenante della domanda, continuano a registrare utili da capogiro; al contrario i minatori seguitano a vivere in baracche di lamiera quasi sempre prive di acqua ed elettricità. Chi ce lo fa fare – è come se dicessero – di prestare le nostre braccia e di invelenire i nostri polmoni per i profitti delle transnazionali? Fatto sta che questo sciopero è il più compatto, il più intransigente e duraturo dopo quello di Marakana (due anni fa) con l’epilogo tragico dei 34 minatori falciati dai colpi della polizia antisommossa.

E c’è un’altra questione che agita il Sudafrica, sintomo del mai sopito scontro tra contrapposti diritti e interessi. Viene fortemente messo in discussione il Medicines Act, la normativa che nel 1997 aveva dato la possibilità a milioni di persone di avere accesso ai medicinali salvavita essenziali a prezzi sopportabili. Il Sudafrica era con lo Swaziland e il Botswana la nazione con la più alta concentrazione di ammalati di Aids e tubercolosi, ma non è che adesso le emergenze sanitarie sono finite.

Rimettere in gioco la riforma della proprietà intellettuale e dei brevetti significa far ripiombare l’Africa nella morsa della devastazione per malattie che si credevano essere definitivamente debellate.

Anche su questa serie di provvedimenti si misurerà la capacità dell’attuale e della nuova classe dirigente di fare veramente gli interessi delle grandi maggioranze “escluse”, di salvaguardarne e promuoverne i diritti fondamentali.

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