La lotta appassionata per una sanità più giusta di un medico giramondo in Africa con il Cuamm
Piero è medico. Un medico un po’ speciale. Un giramondo. Col Cuamm, l’Associazione nata a Padova e che nel corso di questi decenni ha spedito medici in tutto il mondo e particolarmente in Africa.
Adesso in Sud Sudan. Ma è stato in Mozambico, per due anni, altrettanti in Guinea Bissau, lo stesso periodo in Angola. E anche in Ecuador e – in Asia – in Afghanistan, in Cambogia, in Myanmar. Non da solo, per lo più. Con la famiglia. Con Maria Teresa e, man mano che arrivavano, con i 5 figli, di cui 3 sono nati in Africa.
Oggi Francesco, Marco, Cecilia, Chiara e Dmitry hanno un’età compresa tra i 26 e i 20 anni, ma Piero non ha perso l’ideale e la passione di andare a fare il medico dove le necessità sono tante e le emergenze stringenti. Fra qualche settimana riparte per il Sud Sudan, una scelta che risale al 2002, quando era dipendente dell’Azienda Sanitaria di Trento, dove aveva vinto un concorso. Lui è di Bologna (ma i suoi sono pugliesi) e “nel Distretto mi sentivo un po’ stretto”. Un bisogno di ampliare gli orizzonti, rendersi utile in altro modo, sperimentare strade nuove. Dapprima si mette in aspettativa, poi si licenzia. Fanno seguito brevi esperienze, tre o quattro mesi all’anno, ma esperienze molto pregnanti e decisive per la sua formazione di uomo e di medico. E nel 2013 è in Africa quasi tutto l’anno con qualche interruzione dovuta ad eventi familiari.
La sensibilità di Piero ad essere medico per le persone più svantaggiate si forgia già negli anni universitari, durante gli studi, è un cammino e una preparazione che si affina e si consolida nel contatto col Cuamm, gli amici e i colleghi, saper vedere le sofferenze degli altri. Con tutti i posti che Piero ha girato si potrebbe dire di lui che è ormai un veterano. Eppure ogni volta che torna è quasi come fosse la prima volta. Essere medico qua ed esserlo in Sud Sudan, stare qua e stare là. Si vive alle volte – confessa – una sorta di spaesamento perché non è solo il contesto completamente diverso dell’essere medico, è il contesto di vita e di cultura che cambia completamente. Le tue radici –osserva il dottor Piero – diventano un po’ difficili da definire. Ci si sente un po’ sbalestrati. Non c’è dubbio che c’è una grande difficoltà a parlare di queste cose. “E’ difficile – dice – far capire quanto il divario sia grande”. Eppure è un’esigenza morale quella del dottor Piero: farsi in qualche modo portavoce di queste diseguaglianze enormi e, per lui, inaccettabili.
Del Sud Sudan, per dire, oggi non se ne parla più o quasi dopo la crisi di dicembre eppure la situazione continua ad essere drammatica, esplosiva, d’emergenza. E a proposito del suo andirivieni tra il Trentino e il continente africano: “E’ come vivere in due realtà diverse e quasi in contrasto”. Una situazione a volte dicotomica che dilacera perché si vive in prima persona questo contrasto “e te lo porti dentro dovunque sei”. Perché lì non sei sino in fondo parte di quel contesto, per quanto uno faccia lo sforzo di immedesimarsi in quelle vicende a partire dal vivere quotidiano; e qui si sente a volte come una estraneità, con gli altri che fanno fatica a capire le ragioni di vita che ti hanno condotto là. “In Sud Sudan poi – osserva il medico del Cuamm – la gente ha un temperamento forte. Empatia e simpatia sono essenziali per lavorare assieme nel rispetto dell’altro”.
E’ un popolo orgoglioso e fiero, tutta la sua storia lo dimostra. E’ quasi sempre stato in guerra, lotte tra etnie diverse, all’interno e all’esterno, per i furti di bestiame o per il petrolio. “Sono anche persone che esprimono una forte volontà partecipativa, ad esempio negli ambulatori medici vogliono sapere, arrivano, entrano tutti assieme, non delegano di certo”. Sarà perché la natura è aspra e le avversità sono davvero massive e capillari. La lotta per la sopravvivenza è impellente e quotidiana e non a caso questo popolo dimostra un “temperamento focoso”, un aggredire combattivo la vita avversa, le difficoltà, né in Somalia, né in Mozambico Piero ha incontrato un terreno geografico ed esistenziale così sfavorevole. Come se la vita senza lotta non fosse vita.
Per Piero le motivazioni che l’hanno portato in Africa e che continuano a sostenerlo sono improntate ad una netta e distinta laicità pur in presenza di una scelta di fede che fa da sottofondo alla sua vita; per lui la spiritualità ha un valore fondamentale. Intrisa col vivere quotidiano con le sue impellenze e necessità: “Arriva la chiamata a qualsiasi ora del giorno e della notte e anche se hai lavorato per 15 ore non puoi tirarti indietro!”. “E’ un continuo mettersi in gioco. D’altronde siamo lì con loro ed è questo quello che conta per una fiducia reciproca”.
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