Quel papà argentino di Santa Fè che un anno fa in piazza San Pietro – appena dopo l'Habemus… Franciscum – anticipava al nostro microfono che questo “sarà un grande Papa, molto vicino ai poveri” era un suo parrocchiano. Un amico, come altri argentini che Bergoglio ancora oggi chiama al telefono “per rendermi prossimo a loro”.
Quel pronostico sotto gli ombrelli del 13 marzo 2013 si è già realizzato. Fra i tanti aspetti della “rivoluzione di Bergoglio” (per citare uno degli innumerevoli libri freschi di stampa) la scelta di campo della fedeltà ai poveri pare forse la mossa più decisiva del primo Papa latinoamericano, il colpo più esigente battuto sul tavolo del cattolicesimo occidentale.
Ne discendono, infatti, tante altre mosse: la semplicità e la gioiosità con cui veicolare l'annuncio evangelico; l'apertura missionaria alle periferie “anche esistenziali”; l'atteggiamento misericordioso che viene prima di ogni rigorismo dottrinale; la “libertà dei figli” che esige rispetto e pazienza…
Ai suoi inguaribili detrattori – che lo accusano di interpretare in modo troppo personalizzato la funzione di San Pietro – andrebbe consigliata la lettura quotidiana delle omelie di Santa Marta, ora raccolte in due libri, in cui anche il magistero feriale di Papa Francesco risulta esizialmente scaturire dalla Parola di Dio.
Per non dire del testo scritto di suo pugno che rappresenta insieme la sintesi e la somma di quest'anno bergogliano, l'esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, di cui offriamo ampie riprese in questi numeri quaresimali.
Il pericolo che lo stesso Papa vuole evitare è quello di essere considerato un superman, come nel murales a lui dedicato e rapidamente cancellato: “Dipingere il Papa come una sorta di star mi pare offensivo – ha esplicitato Francesco nella recente intervista al direttore del Corriere -. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale”. Probabilmente, in questa sua avversione ad una “certa mitologia del Papa” (alimentata dall'ultimo rotocalco uscito per Mondadori, ma anche in certe sacrestie), ha compreso ma non gradito l'abbinamento con cui i cattolici italiani intervistati da Famiglia Cristiana lo avvicinano a don Camillo o a Robin Hood. Al di là del rischio della caricatura o dell'alone leggendario, è la dimensione solitaria dei due eroi che questo Papa ritiene inconciliabile per il cristiano di oggi, sia esso laico o prete, suora o anche… Papa. “Noi non possiamo stare soli, isolarci…”, ha commentato spesso, giustificando soprattutto per questo anche la sua permanenza a Santa Marta.
Ci vuole convincere che il Papa non è una star della fede, ma un pastore del popolo. Che lunedì scorso è salito sul pullman – come un buon parroco alla gita dei chierichetti – diretto agli esercizi spirituali di Ariccia insieme ai suoi collaboratori.
Fra le istantanee più simboliche di questo primo anno – i piedi lavati in carcere, le carezze di Lampedusa, l'abbraccio al disabile in piazza San Pietro, l'invito a Benedetto per il Concistoro – molti non dimenticano la fotografia scattata nella chiesa della sua residenza di Santa Marta, al mattino presto: il Papa appare inginocchiato all'ultimo banco, insieme a tanti altri ed in preghiera come tanti altri, come le persone che bussano e sostano al fondo delle nostre chiese, portandosi nel cuore chissà quali richieste.
Ringraziare Papa Francesco, “dono dello Spirito per la Chiesa del terzo millennio”, significa prendere il suo passo, seguirlo come singoli e come comunità, sentendosi dentro il gregge di cui egli vuole stare “davanti, in mezzo e anche dietro”.
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