Quando l’arte si fa autentica comunicazione del mistero, essa diventa arte sacra, evento, esperienza. Così, riflettere sull’impatto che l’immagine del volto nei secoli dell’era cristiana ha coinvolto generazioni di artisti sul cammino della fede apre l’orizzonte mai
Padre Andrea ha condotto il suo folto e attentissimo uditorio in un percorso di storia dell’immagine, attraverso la rappresentazione del volto, in cui l’intreccio tra arte e fede si fa pensiero alto, vivo, concreto, e frontiera di una teologia capace ancora di parlare all’uomo contemporaneo. “Un libro che nasce – spiega Dall’Asta – dal desiderio di andare al senso più profondo dell’immagine, attraverso la rappresentazione del volto, cercando di capire le ragioni teologiche e filosofiche che hanno favorito lo sviluppo del ritratto moderno, soprattutto dal ‘400 in poi fino ai giorni d’oggi”. Scoprendo così che la possibilità del ritratto nasce dal quella prima ineffabile immagine che Gesù imprime sul Velo della Veronica, o dal Mandylion della tradizione orientale. Il volto diventa centrale perché “il cristianesimo – conferma p. Andrea – fonda la propria riflessione sulla visione, a partire dall’incarnazione di Dio, del Logos che si fa carne. Dio entra nella storia attraverso la presenza di un uomo, Gesù di Nazareth. In Cristo Dio si immerge nel mondo. La legittimità dell’immagine affonda dunque le sue radici negli stessi testi fondatori del cristianesimo”. Il Dio invisibile si rende visibile attraverso una forma: Dio può dunque essere rappresentato. E Cristo è l’icona di Dio. “Cristo che media tra l’infinito e il finito e che rivela l’uomo a se stesso. Per questo il tema del volto diventa centrale in tutta la tradizione figurativa cristiana, ed affida alla contemplazione del credente uno sguardo trasformante, perché nel rapporto io-tu , in Cristo, egli prende coscienza di se stesso. “La rappresentazione del Santo Volto – prosegue p. Andrea – diventa nel XVI secolo “ritratto”, volto pienamente umano, espressione dell’umanità e dell’individualità del singolo nelle sue specifiche differenze, da ritrarsi nelle sue caratteristiche anatomiche e psicologiche. ”
Così accade nel san Francesco di Cimabue, così accade nell’autoritratto di Albrecht Dürer, che può scrivere sotto la sua tela ”Io, Albrecht Dürer di Norimenberga, all’età di 28 anni, con colori eterni ho creato me stesso, a mia immagine”. Un’autocoscienza che parte da Cristo, perché cercare se stessi significa ritrovarsi in Cristo. “E’ come se l’uomo cercando se stesso trovasse il volto di Dio, o come se cercando il volto di Dio trovasse se stesso, il punto di vista di Cristo diventa il perno fondamentale con cui l’uomo arriva alla comprensione di se stesso.“
Dio che entra nella storia assumendo il volto di Gesù Cristo, permette a tutti nel Figlio di riconoscersi. E’ il cammino verso l’identità profonda dell’uomo, è l’intreccio della storia di Dio e della storia dell’uomo. Una storia d’amore.
“Attraverso il volto del Pantocrator benedicente – osserva Dall’Asta – tra le prime immagine dell’arte bizantina, la conoscenza di Dio nella fede cristiana diventa il modo di ricevere una benedizione che si incarna e si dispiega lungo i sentieri della storia. Da questa benedizione inizia l’esperienza del tempo che diventa in questo modo la storia del dispiegarsi di un atto d’amore, di fede, e di abbandono al Dio della vita”.
Un affidamento che nel ‘900 per molte ragioni si sfuma, e dove l’ uomo interrompe il dialogo con Dio, vive l’alienazione anche da se stesso. Così, nell’arte contemporanea, là dove il volto è assente, si sfigura e si deforma, emerge l’inquietudine dell’uomo alla ricerca di se stesso “il tentativo di dare una risposta ad un interrogativo fondamentale: chi sono io”? Aiutare l’uomo a ritrovare Cristo come compagno di viaggio, una viaggio che è dialogo, relazione, vita, che lo faccia uscire dalla propria angoscia, dal non senso, che gli restituisca la propria identità perduta, è la grande sfida della nuova evangelizzazione e l’invito che sale dalle arricchenti pagine di questo libro.
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