Un paio d’anni di studio e camminate, dal fondovalle dell’Adige al Brenta fino all’altopiano di Asiago, a caccia dei resti delle teleferiche che l’esercito austro-ungarico realizzò sul fronte meridionale durante la Prima guerra mondiale. Un sistema complesso e indispensabile per portare in quota approvvigionamenti, attrezzature, munizioni ma anche far scendere a valle i feriti. Il Trentino orientale setacciato fino a ritrovarvi ciò che rimane di una settantina di impianti, tra stazioni di partenza e arrivo. Plinti in cemento, gallerie e caverne dove veniva riposto il materiale, spuntoni in ferro conficcati nella roccia. Segni a volte evidenti, ma non ai profani, spesso nascosti dallo scorrere del tempo, dalla natura che ha ripreso il suo corso.
Una ricerca ampia ora condensata nelle 275 pagine di “Teleferiche dell’11а Armata austro-ungarica. Dall’Adige al Brenta (1915-1918)” (edizioni Osiride, Rovereto 2013) scritto a quattro mani da Antonio Zandonati, professore di lettere in pensione e studioso della Grande Guerra, e Luigi Longhi, cultore della storia degli Altipiani di Folgaria, Lavarone e Luserna, memore, quando era bambino, dei racconti familiari sullo zio Mario che aveva partecipato alla manutenzione di diverse teleferiche. “È una guida – la definisce Zandonati – che riassume la ricerca che abbiamo svolto sulle tracce dei resti delle teleferiche che è stato possibile individuare”. Lo studio è stato pubblicato dal Museo storico italiano della guerra di Rovereto, ulteriore tappa di avvicinamento alle iniziative per il Centenario del conflitto che prenderanno il via il prossimo anno.
“Senza questo fitto e capillare sistema – prosegue Zandonati – la guerra in alta montagna, specialmente nelle stagioni fredde, non sarebbe stata possibile”. Complessivamente, sull’intero fronte meridionale, quindi non solo dall’Adige al Brenta tema della ricerca, gli austriaci realizzarono 410 teleferiche lunghe in tutto 710 chilometri, gli italiani risposero con 2170 per 2300 chilometri. “La differenza – riflette Zandonati – fu determinata dal fatto che gli italiani ne costruirono tantissime di piccole e smontabili mentre gli austriaci privilegiarono quelle fisse e “a lunga “gittata”. Grazie allo studio delle carte geografiche austriache e italiane, alle foto aeree e d’epoca scattate dall’esercito Regio, alle relazioni del servizio informazioni italiano e a tante scarpinate, gli autori sono riusciti ad individuare i resti di ciò che rimane di questo reticolo tra impianti campali, pesanti e leggeri alla cui realizzazione lavorarono anche molti prigionieri russi, serbi, italiani, rumeni, montenegrini. “È stato un lavoro complesso – affermano gli autori – Perché, più di una volta, è capitato che ciò che dicevano le carte non corrispondeva alla realtà del luogo indicato e, viceversa, in diversi casi i documenti non riportavano quanto effettivamente trovato sul campo. Bisogna tenere presente che queste teleferiche venivano anche spostate quando erano prese di mira dal nemico”. Per ogni impianto la ricerca presenta una scheda completa della storia e delle coordinate in modo che sia individuabile con il gps, numerose foto e anche altri luoghi di interesse presenti in zona.
Da fine estate Zandonati inizierà a lavorare ad un analogo progetto sulle teleferiche italiane. Portando così a termine lo studio di un aspetto della guerra combattuta in Trentino finora rimasto ai margini della ricerca storiografica e che invece rappresentò un tassello significativo del conflitto in alta montagna.
Lascia una recensione