“De Gasperi e Dossetti, la virtù dei migliori”

Nel pieno della crisi dei partiti, l'esempio di De Gasperi e Dossetti. Due modelli di cattolicesimo politico per la democrazia italiana, così diversi eppure così vicini

Già parlamentare italiano ed europeo, primo segretario del Partito Popolare sorto sulle ceneri della DC, Pierluigi Castagnetti è l’autore della Lectio degasperiana 2013 sul tema del rapporto fra Alcide De Gasperi e Giuseppe Dossetti, di cui Castagnetti fu collaboratore. Radio Trentino inBlu lo ha intervistato.

Onorevole Castagnetti, Degasperi e Dossetti rappresentarono due modi radicalmente diversi di intendere il cattolicesimo in politica?

Credo sia giunto il momento di rivedere quel clichè della storiografia che descrive il rapporto tra i due solo conflittuale. La divergenza c’era e io la riassumo nei tre passaggi che ritengo di maggiore distanza: l’indizione del referendum istituzionale nel 1946, l’adesione dell’Italia al Patto atlantico e poi la deriva liberista della politica economica di Giuseppe Pella. Ma anche in quelle tre occasioni c’è stato poi un momento di sintesi e sinergia. Per quanto Dossetti facesse spesso il controcanto a De Gasperi, non vi è mai stata una rottura sulle scelte politiche di fondo.

In che cosa concordavano senz’ombra di dubbio?

Intanto sono stati due tra le personalità più importanti della vita della nostra Repubblica. De Gasperi, come statista, obiettivamente non consente paragoni. Lui ha rifatto l’Italia. Va bene il Risorgimento, ma un’Italia unita non c’era ancora all’inizio del secondo dopoguerra e De Gasperi l’ha costruita. Ma Dossetti è quello che d’intesa con lui ha scritto la Costituzione. Li univa la concezione della politica, mai banale: avere un respiro profondo, un disegno. Entrambi poi pensavano che l’esperienza del partito dei cattolici dovesse far crescere il mondo cattolico appena uscito dall’esperienza del fascismo da cui esso non aveva manifestato una vera autonomia. I cattolici dovevano ancora convincersi della bontà della scelta democratica, perché la democrazia non è nativamente cristiana. De Gasperi e Dossetti hanno fatto dei cattolici una forza propulsiva della democrazia.

Nel concreto, come traducevano la comune radice cristiana in politica?

Entrambi avevano un sostrato valoriale definito: pensavano alla politica come un modo per aiutare l’uomo a crescere e completare la creazione facendo avanzare la storia. Ritenevano che la fede cristiana rappresentasse un’energia unitiva per ricompattare il Paese. E poi credevano nell’autonomia dei politici cattolici rispetto alla Chiesa, per sottolineare il dovere di un’assunzione di responsabilità in proprio. Sono stati due fondatori di una laicità sana. Degasperi per primo diceva che la Dc non era un partito confessionale e sarebbe durato fino ad esaurire la sua missione: costruire un popolo e un sistema democratico. Mi pare che a un certo quella missione fosse di fatto raggiunta, anche se in parte implose drammaticamente con tangentopoli.

Ma qualcuno punta ancora a ricompattare i cattolici: romanticismo politico?

Nostalgia senza speranza. E’ crollato il Muro e la minaccia comunista che consentì alla Dc di avere la maggioranza de i voti non c’è più. Ma poi c’è stato un Concilio, con il riconoscimento del pluralismo delle opzioni dei cattolici. E non sarebbe nemmeno giusto trascinare la Chiesa dentro un’iniziativa politica. Come diceva Dossetti dobbiamo evitare l’usura del coinvolgimento politico. Servono altre modalità: la forza del cristianesimo è sul piano culturale, di un nuovo umanesimo.

Perché l’Italia non ha più saputo generare personalità di spicco come De Gasperi e Dossetti?

Perché ai tempi di De Gasperi e Dossetti l’eccellenza del Paese, i migliori, gli “aristoi”, sentivano l’attrazione etica per l’impegno in politica. Non servivano le commissioni dei saggi, perché erano tutti in Parlamento: economisti, costituzionalisti… Negli anni la politica è stata abitata da persone di qualità non paragonabili rispetto alla stagione costituente. Ma il fenomeno non riguarda solo l’Italia, è internazionale. La politica non attrae più anche perché essa non è più il vero centro del potere ma è divenuta un sotto-sistema, con meno forza, ad esempio, del mondo economico e finanziario.

De Gasperi, Dossetti e la santità: chi vi si avvicinato di più?

Entrambi. Ma non alla santità “nonostante” la politica, ma “a causa” della politica, vissuta come luogo di elevazione, di sacrificio, di donazione di se stessi. Per De Gasperi la causa è già avviata, non mi sorprenderebbe che lo stesso processo potesse aprirsi anche per Dossetti. Entrambi si sono dedicati alla politica per una motivazione profondamente religiosa, ma senza scivolare mai nella deriva integralistica. Furono profondamente laici e profondamente cristiani, senza mai concepire, in tal senso, una separazione fra la dimensione pubblica e quella privata. Personaggi così oggi aiuterebbero la politica a recuperare credibilità. Perché ci hanno testimoniato che per esercitare il comando è necessaria la virtù.

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