“Una grotta è preziosa nel suo insieme, perché è un ambiente isolato dal mondo esterno e di conseguenza non inquinato”, racconta lo speleologo Walter Bronzetti, istruttore della scuola nazionale di speleologia del Cai, intervistato dagli alunni della classe 1^B delle scuole medie Arcivescovile.
Signor Walter, in cosa consiste il suo lavoro?
Lo speleologo esplora grotte e cavità per capire quando e come si sono formate, quanto sono lunghe o profonde ed infine mapparle. Preziosa anche la sua attività di monitoraggio dei movimenti delle acque sotterranee.
Da quanto pratica questa attività?
Quando ho fatto la mia prima “esplorazione” avevo appena vent’anni. Un temporale ci ha costretti a rifugiarci nel tunnel di una vecchia miniera d’argento del Calisio. Da là è scattata la molla. L’attività speleologica è iniziata invece nel 1972. Da circa vent’anni inoltre sono istruttore nazionale della scuola nazionale di speleologia del Cai.
Cosa la spinge ad esplorare una grotta?
La curiosità di scoprire cosa c’è “dietro l’angolo”, di indagare il buio, l’ignoto. Non mancano le sorprese: ad esempio imbattersi in un torrente sotterraneo impetuoso ma poi non trovare la sorgente esterna, non sapere più dove tutta quell’acqua va a finire. La nostra attività inoltre ci porta a conoscere meglio l’ambiente, il lato “nascosto” delle nostre montagne. Una grotta è preziosa nel suo insieme, perché è un ambiente isolato dal mondo esterno e di conseguenza non inquinato.
Quante ce ne sono in Trentino?
Circa 1.900 grotte scoperte e rilevate (tecnicamente “accatastate”), ma moltissime sono quelle ancora da esplorare. Tra le più importanti in Valsugana c’è la grotta della Bigonda che tra pozzi e diramazioni si sviluppa per oltre trenta chilometri. In Brenta poi c’è una grotta profonda oltre 400 metri. Praticamente della stessa profondità sono anche l’Abisso di Lamar, una cavità sotto il Monte Altissimo e la grotta di Val Parol.
Com’è organizzata invece la speleologia trentina?
In provincia ci sono sette gruppi collegati alle sezioni Sat locali: Lavis, Arco, Selva di Grigno, Besenello, Rovereto, Vigolo Vattaro e, quello di cui faccio parte, cioè Bindesi-Villazzano. Complessivamente siamo un centinaio di speleologi. In particolare con il nostro gruppo, operiamo nell’ampia zona del Brenta. Oltre all’esplorazione, le diverse sezioni organizzano anche uscite sul territorio, alle quali tutti possono prendere parte. Uno degli aspetti più belli di questa attività è proprio quello di insegnare alle persone le regole di comportamento fondamentali per effettuare un’escursione in piena sicurezza. Invogliarle insomma ad amare anche questo aspetto nascosto della montagna.
In un grotta si può avventurarsi da soli?
Assolutamente no. È la prima regola da rispettare. La speleologia è un’attività da svolgere in gruppo e per questo alla base c’è un rapporto amicizia tra i componenti della spedizione, che si fidano reciprocamente l’uno dell’altro. Sotto terra diventa un problema insormontabile anche solo rimanere senza luce. È diverso che perdersi in montagna: nel nero assoluto, senza luna o senza stelle, muoversi al buio è impossibile. Non pensiamo poi all’eventualità di rompersi un braccio o una gamba, senza avere vicino qualcuno che può chiamare i soccorsi.
Incidenti di questo tipo accadono spesso?
No, le emergenze non sono numerose e proprio per questo, quando capitano fanno sempre scalpore nelle cronache. In grotta l’elicottero non passa, quindi un’operazione di soccorso mobilita tante persone: prima che l’infortunato possa rivedere la luce possono passare anche molte ore. Per prevenire gli incidenti bisogna essere prudenti, competenti e conoscere il territorio.
In generale quali sono i pericoli?
Su tutti quello legato all’acqua. In certi tipi di grotte è sconsigliato scendere dopo o durante un temporale. Questo perché se all’interno vi è un torrente – dopo un temporale improvviso – questo potrebbe ingrossarsi improvvisamente, bloccando ogni possibile via d’uscita. In casi come questi non ci si deve perdere d’animo e rifugiasi in un luogo asciutto, attendendo che il livello dell’acqua scenda per poi guadagnare indenni la via d’uscita.
È facile perdersi all’interno di una grotta?
Se è già stata scoperta, esistono i rilievi, dei veri e proprio “disegni” della grotta. Lo speleologo si orienta come un alpinista, cartina alla mano. Se invece è la prima volta che si esplora una grotta, per non perdere la strada, ad ogni bivio si lasciano delle costruzioni fatte con i sassi o dei pezzetti di carta rifrangente da raccogliere al ritorno. Non usiamo bombolette o simili. Una spedizione può durare mezza giornata come due o tre giorni. Nel secondo caso si montano le tende, per “campeggiare” all’interno della montagna.
Che attrezzature usa lo speleologo?
Indossa abbigliamento tecnico, quindi tuta, stivali o scarponi, casco e guanti. Se la grotta presenta pozzi e si sviluppa verso il basso, bisogna disporre degli strumenti che ci aiutano a salire o scendere sulla corda. Importantissima ovviamente, la luce. Una torcia elettrica o il classico impianto ad acetilene montato sul casco (quello utilizzato anche dai minatori) che per sei-otto ore irradia una luce molto più calda, grazie alla combinazione chimica di acqua e sassi di carburo. Una volta terminata la “carica” basta sostituire il carburo all’interno dell’apposita bombola.
Come si scopre l’età di una grotta?
È un’operazione difficile. Alcune sono vecchissime e si sono si sono formate prima dell’ultima glaciazione. Uno degli elementi fondamentali per la valutazione sono le concrezioni, ovvero stalattiti e stalagmiti. Pensiamo solo al fatto che una stalattite cresce di circa uno-due millimetri due ogni 10 anni ce ne sono anche di alte anche 3-4 metri.
Cosa consiglia a noi ragazzi?
Di avvicinarsi alle realtà dei gruppi Sat e parteciparead un’uscita in una delle tante nostre grotte trentine. Molte escursioni sono alla portata di tutti e non serve andare tanto lontani per vedere le meraviglie che la natura ha creato sotto terra.
intervista della classe 1^B delle scuole medie Arcivescovile
Nome: Walter
Cognome: Bronzetti
Attività: Speleologo
Segni particolari: dal 1991 è Istruttore della scuola nazionale di speleologia del Cai
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