Amiamo veramente la nostra Costituzione? In economia troppo spesso si ignora la legge fondamentale dello Stato

La bandiera italiana. Foto di Roberto Bellasio da Pixabay

Amiamo davvero la nostra Costituzione, che per molti è la più bella del mondo? Se guardiamo alla coerenza fra i suoi principi e le soluzioni che la politica dà o propone ai principali dilemmi economici del momento, c’è da restare quanto meno perplessi.

1) Un primo esempio è il debito pubblico, con il suo rubinetto erogatore, il deficit di bilancio: sono per lo più considerati strumenti vitali per i servizi ai cittadini e per la crescita, ed è vista con favore la possibilità di superarne i limiti UE. Di raro se ne parla come «disgrazia» per i futuri bilanci, per la pressione fiscale o l’inflazione, sempre future, quindi meno impopolari. Ne consegue che la vera disgrazia non è il debito, ma il suo contrario, la cd. «austerità». Eppure, a causa delle tensioni sui debiti sovrani dell’area euro, nel 2012 (non nella preistoria!) la regola del pareggio di bilancio è stata introdotta nell’art. 81 della Costituzione: «Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta …, al verificarsi di eventi eccezionali». La norma è elastica, non escludendo il deficit, e quindi il debito, in funzione antirecessiva o solidale, ma è chiaro come il pareggio sia la regola, e il deficit l’eccezione. Oggi è invece il contrario.

2) Sulla transizione ecologica, secondo vari studi è suonato l’ultimo allarme per la salvezza del pianeta, ma i costi e l’impatto sul modello di sviluppo provocano scandalo, dilazioni e negazionismi. Eppure risale a soli due anni fa l’apposita modifica costituzionale (L.C. n. 1/2022) che impone di tutelare «l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi» (art. 9) stabilendo che l’attività economica non debba «recare danno alla salute, all’ambiente…» e «possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali» (art. 41). Oggi la transizione ecologica, già sospinta da paurose calamità naturali, è dunque anche una scelta di valore della Costituzione. Dibattito aperto sul «come» fare, ma non sul «se», che è ineludibile.

3) Nonostante la secca affermazione iniziale del ricordato art. 41 («L’iniziativa economica privata è libera», salvo, come detto, i programmi e i controlli In economia troppo spesso si ignora la legge fondamentale dello Stato per orientarla a fini socio-ambientali) serpeggia una certa voglia, non solo di garanzie ecosociali, ma anche di dirigismo, mascherato da termini cool, per evocare politiche settoriali che non coltivano la competitività nell’impresa ma la presumono nei codici merceologici. Come si conciliano le visioni, i distretti, i progetti di Paese ecc., non germinati dalla realtà imprenditoriale ma dalla politica, con la libera iniziativa dell’art. 41?

4) L’autonomia differenziata è un chiaro esempio di incoerenza costituzionale: a 23 anni dal suo inserimento nell’art. 119 (con referendum!) si dovrebbe discutere del modo di attuarla e di finanziarla, non del senso del suo esistere, come invece avviene. Avendone parlato spesso, resta solo da sperare che le varie posizioni politiche, su temi cruciali come la finanza pubblica, il modello di sviluppo e il regionalismo, trovino più solidi ancoraggi nella Costituzione, grazie al processo culturale aperto fra la politica e il diritto, di cui le costituzioni sono frutto e seme (P. Häberle, Per una dottrina della Costituzione come scienza della cultura, Carocci, 2001).

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