Occorre contrastare l'analfabetismo religioso
Da qualche tempo sappiamo ormai che l’evangelizzazione missionaria non è appannaggio esclusivo di religiosi che lasciano la propria terra per andare lontano varcando deserti e oceani, ma coinvolge ogni cristiano svolgendosi per le strade della città in cui si abita, tra gli amici, sul luogo di lavoro. Restando a casa possiamo essere missionari. Ma per fare questo dobbiamo andare fuori da noi stessi verso le periferie esistenziali che sono vicine, vicinissime.
Negli scorsi giorni sono usciti nuovi studi che testimoniano l’assoluto analfabetismo degli italiani nei confronti della religione cristiana. Qui ovviamente non si tratta di fede ma di cultura generale: confondere il Vangelo con l’intera Bibbia, Giovanni Battista con il quarto evangelista, Mosé con Gesù diventa un’ignoranza banale di cui non preoccuparsi più di tanto. I bambini non imparano più a memoria le preghiere, mentre i ragazzi cominciano a fare fatica a decifrare simboli che fino a ieri facevano parte della vita di ciascuno fin dall’infanzia.
Non bisogna scandalizzarsi né gridare alla secolarizzazione. Non credo poi che serva neppure un atteggiamento di superiorità, quasi che noi fossimo titolati a dare lezioni di religione o di fede, quasi che non avessimo dubbi o incertezze. La prima missione la dobbiamo fare dirigendoci al centro del nostro cuore, per capire bene per chi o per cosa batte. La seconda missione è di tutta la Chiesa verso se stessa in un’opera continua di aggiornamento, formazione, purificazione, ringraziamento, lode a Dio, azione di grazia, servizio verso tutti gli uomini. Ogni cristiano – e la Chiesa tutta – deve convertirsi ogni giorno. Chi si ferma è perduto: per chi si è incamminato sulla strada di Dio questo proverbio è davvero azzeccato.
È necessario che i credenti abbiano la consapevolezza che la frequenza ai sacramenti, la messa domenicale, l’abitudine alla preghiera non sono sufficienti per compiere la missione a cui siamo chiamati; forse bastano per sentirsi a posto con la propria coscienza o con le “regole” della Chiesa. Se così non fosse, se ci considerassimo già arrivati la nostra fede piano piano vacillerebbe e la nostra testimonianza si spegnerebbe inesorabilmente. D’altro canto anche una ricerca individuale non è sufficiente. La fede cristiana è sempre ecclesiale.
Qui però arrivano i problemi maggiori. Nelle parrocchie manca un’adeguata formazione per gli adulti. La questione più grave resta la discrepanza tra una società frammentata e parcellizzata e una pastorale ecclesiale che tende a incasellare in categorie ben definite: giovani, famiglie, anziani, malati e così via… Invece chi sta fuori da questa struttura organizzativa fatica a trovare opportunità di approfondimento. Certamente la nostra diocesi presenta una ricchissima offerta di incontri, convegni, eventi in cui si parla di argomenti religiosi, ma si tratta soltanto di iniziative saltuarie, spesso non collegate tra di loro e comunque abbastanza dispersive.
Non ci sono forze adeguate per garantire che in ogni parrocchia ci siano occasioni affinché ogni credente possa, nel giorno dopo giorno, approfondire la propria fede. Forse però non tutti sentono questa necessità. Probabilmente nei prossimi anni, quando la penuria di sacerdoti obbligherà a un impegno maggiore dei laici, le comunità cristiane vivranno soltanto con un impegno di tutti. Bisognerà trovare nuove modalità, ma una sorta di catechesi permanente per gli adulti dovrà essere messa in campo. Oggi purtroppo non è così. E la confusione aumenta, le parole e i libri si moltiplicano, così come le opinioni. Questo tempo richiede un nuovo approfondimento della fede, un nuovo modo per professarla e trasmetterla senza allontanarsi dalla tradizione.
I cristiani del futuro avranno sempre più bisogno di coltivare una fede priva di appoggi esterni, messa in discussione dal pluralismo della società oppure semplicemente ignorata perché giudicata inutile. Sarà necessario trovare il tempo per parlare insieme di fede. E magari un po’ meno di etica, politica e economia.
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